L’appello all’Europa di Confindustria: «Patto sulla manifattura»
Dall’assemblea generale delle Confindustrie di Udine e Alto Adriatico a Trieste gli imprenditori chiedono di superare iper regolamentazione e posizioni ideologiche e di fare scelte strategiche. Orsini: «È un tema di competitività per evitare che le nostre imprese debbano cedere il passo ad altri continenti»

Un’altra Europa. Non più affetta dall’iper-regolamentazione né preda di una cieca ideologia ambientalista, ma capace di essere competitiva sullo scenario globale, dotata di una visione di lungo periodo e in grado di creare filiere industriali strategiche.
Il suono – e il sogno – di un’altra Europa è risuonato forte e chiaro ieri sul palco circolare, fondo blu e stelle gialle a richiamare la bandiera dell’Unione, allestito al centro del Generali Convention Center di Trieste. “Industria Europa”, l’assemblea pubblica promossa da Confindustria Friuli Venezia Giulia e organizzata per la prima volta congiuntamente da Confindustria Alto Adriatico e Confindustria Udine, è il manifesto della svolta invocata dagli industriali per frenare la deriva di un’Europa «che sta per morire», nelle parole del filosofo e saggista francese Bernard-Henry Lévi, che ha aperto a sorpresa l’evento. Un’Europa sull’orlo del collasso perché scoperta su più fronti, eppure ancora l’unica «agorà buona» per discutere le grandi questioni sovranazionali.
«Il suono di un’altra Europa è anche il nostro sogno di un’altra Europa», ha detto il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, indicando la necessità di percorrere «un cammino rischioso, ma indispensabile» per superare «l’iper-regolamentazione dei processi che ha portato a una disaffezione dall’idea dell’Europa. Le nostre imprese sono già fortemente integrate nel sistema europeo, ma dobbiamo creare filiere strategiche dentro l’Europa». Le priorità le ha elencate il numero uno di Confindustria Udine, Luigino Pozzo: investire nelle competenze tecniche, riqualificare i distretti industriali e le aree produttive, triplicare gli investimenti in ricerca e sviluppo, garantire energia a costi accessibili, ridurre il costo del lavoro, potenziare le infrastrutture. «Oggi il rischio del fare impresa ha raggiunto livelli non più sostenibili se rimane interamente sulle spalle del singolo imprenditore», ha detto Pozzo, invocando la necessità di un Industrial deal, «un grande patto per l’industria che mobiliti energie pubbliche e private verso un obiettivo comune di crescita».
Per gli industriali su tanti, troppi temi l’Europa può e deve fare ancora molto. A partire dalla competizione mondiale, messa in discussione dai dazi americani e dalla svalutazione del dollaro. Per il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini «è un tema di competitività e di far sì che le nostre imprese non cedano il passo a nessun altro continente». Di fronte ad atteggiamenti che «stanno minando la nostra capacità di fare impresa», dai super dazi al 170% contro la pasta all’invasione delle merci cinesi che si stanno riversando sui nostri mercati, per Orsini occorre «mettere al centro l’agenda delle imprese». Magari tirando fuori dal cassetto quelle già redatte, a partire dai rapporti Draghi e Letta. «Siamo una barca a vela dove non c’è vento: serve un motore. Mi auguro che comincino a leggere», ha chiosato Orsini. Che vede allontanarsi all’orizzonte l’obiettivo di portare l’export italiano sopra i 700 miliardi. Quasi rispondendo al commissario europeo Raffaele Fitto – che poco prima in videocollegamento aveva indicato le due direttrici dell’azione europea nell’apertura ad altri mercati e nel superamento delle barriere interne – Orsini ha ribadito l’urgenza di «chiudere velocemente l’accordo con il Mercosur» e, sul fronte interno, di «prestare attenzione alle imprese, che sono quelle che aiutano il welfare del Paese. Serve un piano che abbia una visione almeno triennale».
Sollecitazioni in parte raccolte dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, che ha rivendicato la «massima attenzione» riservata alle imprese in manovra con 8 miliardi destinati agli investimenti. «Difendere la manifattura italiana non è soltanto difendere un interesse economico, ma l’Italia stessa», ha sottolineato Ciriani, ribadendo la contrarietà del governo a un’idea «burocratica e anti-industriale» dell’Europa «che ha inseguito la decarbonizzazione e ha ottenuto solo deindustrializzazione».
Quello degli imprenditori della regione presenti ieri all’assemblea – circa 1.800 le persone che si sono registrate all’evento – voleva essere anche un pungolo capace di aiutare a recuperare i valori fondanti del Vecchio Continente. «Liberté, égalité, fraternité», ha scandito sul palco il presidente di Confindustria Friuli Venezia Giulia Pierluigi Zamò. «L’Europa è rimasta l’unica zona in cui possiamo avere questi tre asset: usiamoli per far tornare a casa i famosi cervelli in fuga» è l’appello lanciato dalla regione. Proprio i territori, nella visione del governatore Massimiliano Fedriga, possono avere un ruolo nell’avanzare proposte «per un’Europa plurale, che non sia centralizzata nell’amministrazione e nell’utilizzo delle risorse, ma che possa avere una visione comune. Quella a cui dobbiamo ambire – ha rilanciato – è un’Europa in grado di fare grandi scelte strategiche e di puntare sulla difesa per tutelare interessi nazionali ed europei».
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