Lanificio Bottoli, la lana made in Italy che piace a Etro e Ballantyne

Ciclo verticale integrato, tinture sostenibili e lane dal patrimonio ovino italiano. Ecco come l’opificio veneto ha stregato i grand del lusso

La redazione

TREVISO. Etro, Ballantyne e l’icona della moda d’avanguardia giapponese Junya Watanabe. Tre delle maison di lusso fornite da lanificio Bottoli, fondata nel 1861. Innamorate di quella materia prima unica alla lana merinos al cashmere, che insieme alle altre fibre naturali, da canapa al cotone sono il marchio di fabbrica.

Ma ciò di cui a Vittorio Veneto, dove ha sede l’opificio, vanno fieri è il ciclo verticale integrato: selezione delle materie prime, tintoria, filatura, orditure, tessitura e finissaggio. Un percorso unico nel Lombardo-Veneto e raro in Italia in generale.

Bottoli, guidato dal presidente, Roberto Bottoli, e dal figlio Ettore, entrato in azienda dal 2017, sviluppa campionari ogni anno di circa duemila e 500 nuovi disegni, per un fatturato di 4 milioni di euro prodotto da 32 dipendenti, con un potenziale di circa 3 mila metri di tessuto al giorno. Il 60% va oltre confine.

Lanificio Bottoli è pioniere nelle logiche ambientali, a cominciare dall’accordo con Dersut per la tinturam ma che segue anche altre metodologie innovative per la tintura dei tessuti. Così come si produce un tessuto per le coperte di lana dove il filato si intreccia con fili di rame, metallo con proprietà antibatteriche. La lana delle razze ovine arriva da allevamenti tra Marche, Abruzzo e Molise, valorizzando il patrimonio ovino italiano.

Riproduzione riservata © il Nord Est