Jermann, profitti da star: «Secondi solo a Sassicaia»
Il direttore Marco Rabino racconta l’evoluzione della cantina vitivinicola, uno tra i brand più apprezzati del Collio dopo l’ingresso di Antinori. La crescita tra il 2021 e il 2023 è stata impetuosa: il fatturato ha sfondato quota 20 milioni di euro, l’utile ha raggiunto gli 8,8 milioni, con un Ebitda del 57,4%

Il sole è alto, quasi mezzogiorno, e gli addetti attendono l’arrivo dell’ultimo carro con il prezioso raccolto. «Abbiamo cominciato il 16 agosto con il Pinot grigio, ma in questi giorni vendemmiamo la collina del Capo Martino - dice Marco Rabino, enologo e direttore della cantina Jermann, brand tra i più conosciuti e apprezzati del Collio -. È quel lembo di terreno lassù, alle spalle dei filari di cipressi». Rabino conosce ogni fazzoletto di questa terra fatta di ponca, un’alternanza di marna e arenaria, che regala ai vini che germogliano qua un timbro unico e inconfondibile.
Il Capo Martino è uno dei tre Cru dell’azienda che, dal maggio del 2021, è passata di mano da Silvio Jermann, personaggio istrionico e geniale inventore del Vintage Tunina, ancora oggi uno dei bianchi più apprezzati nel mondo, alla famiglia Antinori, tra i colossi della tradizione toscana. Jermann, che sperimenta nuove avventure enologiche nel Brda sloveno, ha comunque mantenuto il 25% delle quote societarie. «Il Capo Martino è un blend bianco fatto di Ribolla gialla, Malvasia istriana e Picolit - aggiunge il direttore - . A mio avviso è il vero vino identitario friulano, realizzato con uve autoctone. Ne produciamo 20 mila bottiglie l’anno».
Di Vintage Tunina, invece, uvaggio frutto di un mix sapiente, nato dall’intuizione di Jermann nel 1975, se ne producono circa 120 mila bottiglie. Del terzo Cru, il W... Dreams, poco meno di 90 mila pezzi l’anno. L’idea, una delle tante in serbo, è di affiancare alle tre bandiere che portano il marchio Jermann nelle tavole dei ristoranti italiani ed esteri, altri due Cru. «Pensiamo a un Tocai - dice Rabino ricordando il nome che fu dell’attuale Friulano - e, più avanti, a un rosso, un Refosco. Ci piacerebbe potenziare la linea di vini pregiati con qualche altro migliaio di bottiglie da mettere sul mercato».
Già il mercato. La cantina Jermann sforna ogni anno un milione e mezzo di bottiglie, quasi esclusivamente bianchi (tra i rossi in listino oggi c’è solo il Red Angel, un Pinot nero che in realtà è un rosso travestito da bianco, come ama sottolineare Rabino quando l’enologo prende il sopravvento sul manager), con una produzione in moderato ma costante aumento.
L’Italia è il principale mercato di riferimento, dove si vende il 65% dei vini. Il restante 35% finisce all’estero, in 80 Paesi. I più importanti la Germania, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone, l’Austria, la Svizzera. Stanno crescendo anche i Paesi baltici e la Polonia.
«Il 2024 per noi e un po’ per tutti i vignaioli - commenta il direttore di Jermann - è caratterizzato da un rallentamento delle esportazioni, dovuto alla situazione internazionale complicata. La Germania, uno sbocco importantissimo, è quasi in recessione. Le guerre tra Russia e Ucraina e in Israele e Palestina hanno di fatto cancellato quei mercati che, prima dei conflitti, valevano almeno mezzo milione di euro, che per una realtà come la nostra non è poco».

Questa dunque sarà per Jermann una fase di assestamento, come ammettono i vertici. Ma la crescita tra il 2021 - anno in cui Antinori ha comprato l’azienda - e il 2023 è stata impetuosa. Il fatturato ha sfondato quota 20 milioni di euro, l’utile ha raggiunto gli 8,8 milioni, con un Ebitda del 57,4%. Numeri che inorgogliscono gli artefici del boom. «Facciamo paura tanto siamo cresciuti - aggiunge Rabino - . Secondi in Italia, dopo Sassicaia, per il migliore rapporto tra fatturato e profitti. Ma la cosa particolare è che siamo l’unica casa vinicola bianchista presente in classifica, in mezzo ai brand dei grandi rossi piemontesi o toscani. La seconda azienda bianchista è al 14esimo posto, e fa bollicine in Franciacorta. Possiamo essere soddisfatti».
Qual è stato dunque il segreto, se ce n’è uno, del recente sviluppo di Jermann? «Oggi la prima cosa da fare è la commercializzazione - commenta Rabino -, bisogna vendere con efficacia il prodotto, avere una buona posizione e agenti validi. Sul Collio è praticamente impossibile non fare buon vino. Un Sauvignon, uno Chardonnay, una Ribolla possono non piacere, ma non saranno mai cattivi. Vale per noi e per gli altri produttori. Per emergere però bisogna assolutamente farsi conoscere il più possibile. Ecco forse adesso rispetto alla gestione precedente c’è più pragmatismo. I risultati che abbiamo ottenuto sono dovuti all’aumento delle vendite e anche a una riorganizzazione interna con economie di scala e il taglio di qualche consulenza onerosa. Questa realtà dà lavoro a 85 dipendenti, quasi tutti fissi»
Gli obiettivi per l’immediato futuro sono due ed entrambi molto importanti. Il primo è l’acquisizione di nuovi terreni limitrofi alle proprietà (Jermann può contare su 30 ettari in Collio, nell’area che circonda l’avveniristica cantina di Ruttars di Dolegna e su altri 140 ettari in Comune di Farra, nelle Doc Collio e Isonzo. «Ci sono tante aziende in vendita, piccole e meno piccole - rivela Rabino - nel raggio di 10, 15 chilometri, occasioni potrebbero essercene, le quotazioni dei terreni non sono lievitate rispetto a 25 anni fa. Inoltre stiamo rinnovando diversi impianti. I più vecchi hanno tra i 35 e i 40 anni, molti tra i 6 e i 10 anni. Da un punto di vista “tecnico” stiamo riscoprendo il passato in vigna, ovvero più spazio tra una vite e l’altra, file più larghe e vigneti più alti in chiave anti gelo e anti grandine. Il cambiamento climatico ci costringe a ragionamenti diversi per quanto riguarda l’allevamento».
Il secondo grande investimento di Jermann riguarda la cantina di Farra, quella storica. Nello stabile che si trova ai piedi di un colle, la famiglia Antinori ha messo 6 milioni di euro per una ristrutturazione radicale con una nuova area vinificazione, l’imbottigliamento di ultima generazione e la concentrazione della logistica.
Con Marco Rabino, enologo di consolidata esperienza, è d’obbligo un cenno alle previsioni per la stagione 2024. «In vaste zone del Collio la grandine ha fatto un po’ di danni - dice - dovremo lavorare molto in cantina per ottenere vini “puliti”. I quantitativi saranno superiori al 2023, che però fu un anno di scarsità eccezionale. La qualità a mio avviso sarà buona, medio alta. Il caldo afoso di agosto ha ritardato la maturazione, ma adesso siamo già nel pieno della raccolta. Le vendemmie che cominciavano a metà settembre, ormai, sono un ricordo del passato».
Riproduzione riservata © il Nord Est