Il calcio italiano: «I costi troppo alti sono un freno alla crescita»

Paolo Masotti, amministratore delegato di Adacta Advisory: «Il calcio italiano continua a essere riconosciuto come uno dei campionati più competitivi e spettacolari a livello mondiale. Tuttavia, sotto il profilo economico-finanziario, permangono criticità rilevanti che ne condizionano la sostenibilità a lungo termine»

Giorgio Barbieri
Paolo Masotti
Paolo Masotti

«Il calcio italiano continua a essere riconosciuto come uno dei campionati più competitivi e spettacolari a livello mondiale. Tuttavia, sotto il profilo economico-finanziario, permangono criticità rilevanti che ne condizionano la sostenibilità a lungo termine». Ne è convinto Paolo Masotti, amministratore delegato di Adacta Advisory, società che ha analizzato i bilanci delle squadre italiane.

Ci sono stati segnali positivi nell’ultimo esercizio finanziario?

«Si è registrato un incremento dei ricavi complessivi del sistema. Tuttavia, tale crescita è stata accompagnata da un aumento parallelo dei costi, in particolare quelli legati al personale. Questo ha determinato, per la maggior parte dei club, il permanere di perdite economiche e finanziarie significative, seppur in leggera riduzione rispetto all’anno precedente».

A livello complessivo, la situazione finanziaria è sotto controllo?

«Il quadro resta negativo, con un disavanzo aggregato di circa 1,5 miliardi di euro. Ciò rende ancora necessarie numerose operazioni di sostegno finanziario da parte degli azionisti per garantire la continuità aziendale dei club».

Qual è il principale punto di debolezza nella gestione economica dei club?

«Uno dei principali fattori di squilibrio riguarda l’elevata incidenza strutturale dei costi del personale rispetto ai ricavi, che continua a rappresentare un nodo critico nella gestione economica delle società».

Come si comportano le principali voci di ricavo?

«Sul fronte dei ricavi, le componenti derivanti dalla presenza allo stadio e dai diritti televisivi restano inferiori al 50% del totale, mentre le entrate commerciali (merchandising, sponsorizzazioni e attività correlate) faticano a superare il 15%».

Qual è, dunque, la strategia auspicabile per il futuro?

«Possiamo dire che, a livello complessivo, risulta imprescindibile un doppio approccio strategico: da un lato, la crescita di tutte le componenti di ricavo; dall’altro, una gestione più oculata e sostenibile delle diverse voci di costo».

Esistono differenze significative tra i club?

«A livello di singolo club la gestione delle performance economico-finanziarie rappresenta un elemento chiave per la sostenibilità. Alcuni club hanno raggiunto risultati positivi e mostrano un equilibrio costante nel tempo. Tuttavia, altri continuano a registrare perdite rilevanti, una tendenza che coinvolge club appartenenti a tutte le tre principali serie professionistiche».

E per quanto riguarda il Nord Est? Ci sono segnali differenti?

«In questo caso il quadro generale appare leggermente più equilibrato. Le due principali società dell’area, l’Udinese e l’Hellas Verona, mostrano bilanci prossimi o superiori al punto di pareggio. Fanno eccezione il Venezia e le squadre venete militanti in Serie C, che da diversi esercizi continuano a presentare bilanci in perdita». —

 

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