Garbellotto, da 250 anni botti che sono capolavori d’artigianato
La spa nata a San Fior e cresciuta a Conegliano celebra l’anniversario venerdì 13 giugno. Parla l’ad Piero Garbellotto tra le otto generazioni in azienda, i progetti di espansione in Europa e ora in Sud America, l’arte antica del bottaio e le nuove tecnologie

La Garbellotto Spa, impresa leader nella produzione di botti e barriques, domani a Sacile festeggia i primi 250 anni. L’azienda, nata a San Fior, cresciuta a Conegliano e diventata un colosso mondiale e festeggia venerdì 13 giugno con un evento con ministri, politici e sportivi. Piero Garbellotto è l’amministratore delegato dell’azienda.
Garbellotto, sono otto generazioni da raccontare in un fiato?
«Un bel traguardo che rende orgoglioso non soltanto me, i miei fratelli e la famiglia, ma soprattutto chi ci ha preceduto: siamo all’ottava generazione, noi abbiamo fatto solo gli ultimi 20 anni. E soprattutto i nostri collaboratori, che sono formidabili e straordinari. Noi non ci definiamo un'azienda familiare, ma una famiglia aziendale. C’è chi lavora con noi da tre generazioni: nonno, papà e il figlio».

Una staffetta generazionale?
«C’è chi nasce e cresce in famiglie in cui si parla di botti, di barriques di legno, da sempre. C’è un tema di affetto e di territorialità, per noi è un grande orgoglio perché significa che si sono trovati bene. In fin dei conti vale anche per me e per i miei fratelli».
Com’è cambiata l’azienda nel tempo?
«Da una bottega artigianale prima, a un opificio durante le due guerre, quindi una fabbrica. E oggi un'azienda che esprime artigianalità e alta tecnologia insieme, quindi dalle linee robotiche all'intelligenza artigianale che, con i bottai, abbina la scelta qualitativa del legno alla classica funzionalità del mestiere, quindi ancora i martelli che battono sulle botti sul fuoco. Produzione e distribuzione: negli ultimi due anni abbiamo acquisito quote di distributori in Italia e nel mondo per seguire sempre più da vicino i nostri mercati».
Intelligenza artigianale. Un mood da esportare nel nostro territorio?
«La parola artigiano deriva da arte. Quindi l’arte è un valore che è assolutamente importante preservare, però se è perseguito guardando al futuro, deve essere messo in condizioni di crescere. Ciò vuol dire fare uno step con le linee robotiche, l’intelligenza artificiale, in modo tale che si possano maneggiare per l’artigiano, per il bottaio, i lavori più pesanti. In questo modo ci si può concentrare unicamente sulla qualità del prodotto. Tutto aiuta: come le telecamere particolari che si usano per ogni tipo di sviluppo, anche nel biologico».

Fondata nel 1775, quando Giuseppe Garbellotto aprì a San Fior un laboratorio per la lavorazione artigianale del legno e la produzione di botti, tini e barili, la storia dell’azienda si è intersecata con quella del Nord Est, attraversando imperi e regni.
«Gli Asburgo, quindi l’Austria, ma anche la Cina, il vicino e l’estremo Oriente. Tra cantine, bottaie, dal centro dell’impero sovietico per la produzione di botti, i Magiari. Arrivo da una famiglia che affonda le proprie radici nell’artigianato, ma che ha sempre cercato il contatto con altri mondi, vicini e lontani, dai miei avi al mio bisnonno, fino ai giorni nostri. Oggi abbiamo sviluppato l'estero, da 15 anni a questa parte facciamo il 50% di fatturato fuori dall’Italia, avremo quote di distributori e quindi delle piccole sedi all’estero».
E ora dal Coneglianese siete arrivati lontano.
«In Croazia, dove abbiamo la segheria per il taglio dei tronchi e per la produzione. Ma non dimentichiamo San Giovanni in Natisone. Poi siamo presenti in Spagna a Logroño, dove abbiamo un socio iberico».
E fuori Europa?
«Stiamo costituendo un'azienda anche in Sud America, che per giugno sarà pronta, siamo al closing con il socio. E per la distribuzione poi guardiamo con grande interesse alla Francia, dove abbiamo già una sorta di joint venture con un produttore sia per l'importazione del rovere francese che per l'esportazione. Di fatto siamo presenti in cinque continenti».

Numeri?
«Mediamente ogni anno fatturiamo 25 milioni di euro. Abbiamo circa 110 collaboratori tra i bottai tecnici, impiegati, commerciali, dipendenti. E 100 mila ettolitri di bottame all’anno».
Come si diventa bottaio?
«Facciamo formazione internamente, in azienda. Non ci sono scuole che preparano, resta quella del legno a Brugnera, il resto è arte. Chi arriva, o se ne va entro il primo anno di lavoro, o resta con noi per tutta la vita».
È un tema anche di passione, no?
«Ogni giorni cambia qualcosa, si parte dal tronco e si arriva al prodotto finito. C'è un'evoluzione aromatica perché le bottiglie devono essere sempre più performanti per assaggiare i vini in maniera sempre più delicata. La nostra è un’azienda che si avvicina all'impatto zero perché lavoriamo legno vergine, certificato da foreste eco-sostenibili, ci produciamo il 65% di energia proveniente dai pannelli solari, il restante 35 lo compriamo da pannelli “bio”, e macchine elettriche. Quindi è tutto il mood dell'azienda».
Molto green, quindi?
«La nostra filosofia deve restare questa. Riguarda la botte, ma anche lo sviluppo aziendale: vanno perseguiti gli obiettivi di chi ci ha preceduto».
E il prossimo step tecnologico?
«Da oltre 10 anni collaboriamo con l’Università di Udine, che ha un ufficio ricerca che è affine a noi. Sviluppiamo una telecamera che aiuta nel riconoscimento qualitativo del legno e il controllo digitale della tostatura. Lo sviluppo non si ferma, così stiamo lavorando sugli oak eyes, gli occhi del rovere, per affiancare il mastro bottaio nel controllo qualità».
C’è un tema di “fame di vittorie” anche da un punto di vista aziendale, che è stato evidenziato anche allo Sport Business Forum, cui lei ha partecipato in qualità di presidente di un altro colosso mondiale, la Prosecco Doc Imoco?
«Mi guardo indietro, spostando l'azienda in un raggio di dieci km, San Fior, Conegliano, Sacile. Ma siamo passati in sei Stati e cinque guerre, per due volte siamo stati colpiti, e siamo ripartiti. Mio nonno ha ricostruito l'azienda dopo la prima guerra mondiale. Il mood è sempre lo stesso: “andiamo avanti, più avanti, lavorare”, poi l’azienda è risorta come una fenice. L’abbiamo visto anche al tempo del Covid».
Avete conquistato il conquista il Guinness dei primati per le botti più grandi del mondo.
«Noi lavoriamo in tutta Italia, dove si fanno i grandi vini rossi, perché la botte è per il 99% per i grandi vini rossi e per i grandi vini italiani. Un’azienda del territorio che è da sempre con noi? I Conti di Collalto».
Come immagina la vostra azienda tra altri 50 anni?
«Oggi siamo leader nella produzione delle bottigliate e siamo una delle tante aziende nella produzione delle barriques. Magari per il 300º compleanno saremo l'azienda di riferimento per tutti i tipi di botti, per i 300 anni speriamo di esserlo anche per le barriques».
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