Fondazione Nord Est, imprese inclusive: la rivoluzione del Welfare

Per rendere davvero accessibile e sostenibile il lavoro per le donne è fondamentale investire in politiche aziendali e in un sistema di welfare moderno

Alberto Baban* Elisabetta Lamon**

Nel 2040 il Nord Est sarà a meno 20! Non parliamo di temperatura climatica che al contrario continua a salire, ma di quella della “glaciazione” demografica. -20% sarà la percentuale della popolazione lavorativa attiva nei nostri territori, in assenza di migrazioni.

Non c’è più tempo per cercare di trovare delle soluzioni al problema che potrebbe escludere le nostre aziende dai contesti competitivi internazionali. Una di queste, tra le più attuabili e realistiche, è il maggior coinvolgimento delle donne nelle imprese. Oggi ancora troppo poche.

Basti pensare che a Nord-est solo il 68% delle donne è occupata in attività lavorative mentre l’Estonia, che guida la classifica europea, vanta un tasso di occupazione femminile dell’80,9%. In Italia ci fermiamo al 53%. Questo divario evidenzia un ampio margine di miglioramento e, al tempo stesso, una straordinaria opportunità per il nostro sistema produttivo. Per rendere davvero accessibile e sostenibile il lavoro per le donne – e per far sì che le imprese diventino più attrattive e inclusive – è fondamentale investire in politiche aziendali e in un sistema di welfare moderno, flessibile e orientato al futuro.

Accanto a questo, occorre costruire percorsi di carriera che valorizzino le competenze femminili, rimuovendo gli ostacoli strutturali alla crescita professionale. Tali interventi non solo contribuiscono a colmare il divario di genere, ma rappresentano una leva strategica per le imprese: valorizzare il talento femminile significa rafforzare il capitale umano disponibile, migliorare la resilienza organizzativa e contribuire in modo concreto a contrastare gli effetti della transizione demografica.

Questo è particolarmente vero per le regioni nordestine che si caratterizzano per un’elevata densità industriale e una capacità di adattamento che le rende centrali nelle trasformazioni economiche. Eppure, quando si parla di attrattività, qualcosa sembra incepparsi. Le imprese, pur performanti sui mercati, faticano sempre più a trattenere e attrarre nuovi talenti. La sfida riguarda soprattutto il tipo di ambiente lavorativo che le aziende sono in grado di offrire e le opportunità reali di crescita professionale in contesti conciliabili con i progetti di vita delle persone.

I risultati di una recente indagine condotta da Fondazione Nord Est per Confindustria Belluno – che ha coinvolto 333 imprese manifatturiere del Nord-est con fatturato superiore ai 10 milioni di euro – offrono uno sguardo prezioso su questo tema. L’analisi si è concentrata sul welfare aziendale, le misure di conciliazione vita-lavoro, genitorialità e governance inclusiva, mettendo in luce i limiti e le potenzialità di un sistema che vuole essere attrattivo, ma spesso non parla il linguaggio delle nuove generazioni. Nonostante il Veneto si caratterizzi come una regione con un livello di welfare medio alto, la misura più frequentemente adottata è rappresentata dalla flessibilità oraria, concessa con maggiore facilità nelle imprese più strutturate, le quali, potendo contare su strutture organizzative più consolidate, riescono a garantire una maggiore adattabilità nella gestione del tempo di lavoro.

Ma, oltre questo primo livello, il quadro si fa più sfumato: il 70% delle imprese propone piani di welfare generici, difficilmente tarati sulle esigenze specifiche delle lavoratrici e dei lavoratori. Solo poco più della metà prevede misure specifiche per la genitorialità, come congedi aggiuntivi o permessi retribuiti. E le convenzioni con strutture per l’infanzia o per la cura di anziani non autosufficienti tema oggi di grande interesse, sono quasi inesistenti.

Una lacuna che pesa proprio sulle spalle di chi, purtroppo nella maggior parte dei casi, si occupa della cura familiare – ovvero le donne. Il rientro al lavoro dopo la maternità continua a rappresentare una delle criticità maggiori per le donne.

In molti casi, la scelta – o più spesso la necessità – di lavorare part-time diventa l’opzione più realistica, tanto che il 64,4% delle aziende dichiara questa pratica come una misura adottata per la conciliazione vita-lavoro.

Lo smart working, che potrebbe rappresentare una leva strategica per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro, risulta ancora poco adottato, con una diffusione del 49,7% tra le imprese strutturate, mentre si ferma al 25,3% tra le aziende di piccola dimensione o meno organizzate. Un altro elemento critico è l’assenza di servizi aziendali dedicati ai figli dei dipendenti nei periodi di chiusura scolastica: mancano quasi del tutto iniziative come asili nido aziendali o attività estive ricreative, anche in forma convenzionata.

Questo limite contribuisce ad aggravare la difficoltà di conciliazione per le famiglie, in particolare per le madri lavoratrici. Inoltre, le politiche aziendali orientate alla parità di genere sono ancora scarsamente diffuse.

Solo il 7% delle imprese risulta in possesso della certificazione per la parità, mentre appena il 3,8% redige un bilancio di genere. Infine, solo poco più di un quarto delle aziende (26,8%) dichiara di avere un piano strategico per promuovere un ambiente di lavoro inclusivo. In questo scenario, le imprese che sapranno investire in una visione lungimirante del lavoro, centrata sul benessere delle persone, non solo contribuiranno al riequilibrio sociale, ma si renderanno anche più competitive e resilienti in un mercato del lavoro in profonda trasformazione.

 

*Presidente Fondazione Nord Est

**Ricercatrice Fondazione Nord Est

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