La nuova febbre dell’oro contagia anche l’argento. «Nel 2026 nuovi record»
Il metallo giallo torna come bene rifugio e rompe la soglia dei 4 mila dollari l’oncia, ma per gli esperti resta ancora fondamentale la diversificazione del portafoglio

Due mesi fa, quando le quotazioni viaggiavano intorno ai 3.300 dollari l’oncia, si parlava già dell’oro come una delle migliori asset class del 2025, a fronte di un rialzo di circa un quarto rispetto a inizio anno. Oggi che è stato sfondato il muro dei 4 mila dollari l'oncia, ci sono diversi analisti che si affrettano a riposizionare verso l’alto i target. Cerchiamo di capire le ragioni della corsa in atto e cosa attendersi da qui in avanti. Una tendenza che ha contagiato anche l’argento, in crescita addirittura del 70% circa rispetto all’inizio del 2025, complice anche la spinta proveniente dalla domanda industriale.
I motivi della corsa
Tornando al metallo giallo, Marco Mencini, head of research di Plenisfer Investments Sgr, ricorda che un rally come quello in corso ha pochi precedenti, forse solo uno: la sospensione degli accordi di Bretton Woods negli anni Settanta, con cui si terminava la convertibilità del dollaro in oro.
Le ragioni sono diverse: in primis vi è stata una corsa ad accumulare scorte di metallo giallo da parte delle Banche centrali, molte delle quali hanno agito in ottica di diversificazione rispetto al dollaro. In alcuni casi incidono ragioni geopolitiche, con il blocco anti-occidentale che vuole ridurre la dipendenza dalla valuta americana, in altre la sfiducia verso il biglietto verde alla luce del crescente isolazionismo degli Stati Uniti d’America. Ma la spinta non arriva solamente dagli istituzionali.
Il boom della domanda
Da inizio anno, gli Etf (fondi a gestione passiva) specializzati sull’oro hanno conosciuto un vero e proprio boom della domanda, complice il calo dei tassi sulle due sponde dell’Atlantico, che rende meno remunerativo investire nel reddito fisso. Un report firmato da Peter Kinsella, head of investment services Uk di Union Bancaire Privée (Ubp), stima che il prezzo dell’oro raggiungerà i 4.600 dollari l’oncia entro la fine del prossimo anno, ma non esclude che il traguardo venga centrato prima.
Questo perché le già citate ragioni alla base del rally recente sembrano destinate a spingere la domanda. Inoltre c’è un aspetto da considerare, che si lega al classico ruolo del prezioso come asset rifugio, calamita quando gli altri investimenti vengono percepiti ad alto rischio. «Riteniamo che il mercato sottovaluti l’impatto di una Fed meno indipendente», sottolinea Kinsella.
Il ruolo di Trump
E il riferimento è alla pressione del presidente Trump affinché la banca centrale Usa abbandoni la sua tradizionale autonomia dalla politica. «Una prospettiva di questo tipo potrebbe portare a tassi d’interesse troppo bassi per un periodo prolungato, con conseguente maggiore inflazione cumulata e/o crescita del credito». Infatti, quando i prezzi al consumo crescono in maniera importante, il potere d’acquisto delle valute cala, mentre l’oro è un bene fisico – e per altro disponibile in misura limitata – per cui in queste circostanze diventa un investimento più attraente per proteggere il proprio capitale.
Oltre ai già citati Etf, per cavalcare la febbre dell’oro è possibile investire nei fondi comuni (che sono a gestione attiva, con un professionista che sceglie di volta in volta i titoli da inserire in portafoglio) oppure acquistare azioni delle società aurifere, il cui andamento tuttavia non è legato solo all’andamento del sottostante, ma anche ai risultati aziendali.
Lingotti e monete
Un’alternativa è l'acquisto di oro fisico (lingotti, monete), con il vantaggio che questo investimento è esente da Iva e imposte di possesso, ma a fronte di costi per la custodia e di una minore liquidità rispetto agli asset finanziari. A prescindere dalla tipologia di investimento, poi, non va dimenticata la regola aurea della diversificazione, che suggerisce di dedicare a questa asset class solo una piccola parte del proprio portafoglio.
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