Donadon: «Intel investe a Verona? La Silicon Valley arriva in Veneto»
L’imprenditore trevigiano si dice «entusiasta» del mega insediamento da 4,5 miliardi. «Significa riconoscere le eccellenze a livello formativo che si possono trovare sul territorio»

La dice bene il fondatore di H-Farm Riccardo Donadon: «È bello vedere per una volta la Silicon Valley che viene in Veneto, dopo che per anni è stato il Veneto ad andare in Silicon Valley». Il riferimento è al megainvestimento che - incrociando le dita- il colosso dei microchip Intel dovrebbe fare nel nostro Paese, e proprio in regione, nel Veronese.
Una mega fiche da 4,5 miliardi di euro, per una gigafactory per costruire l’anima dei pc, con una promessa di creare 1500 posti di lavoro. Una specie di ritorno ad un territorio che attraverso il genio di Federico Faggin, il vicentino considerato il padre del microchip a capo del progetto Intel 4004, qualcosa ha dato alla multinazionale di Mountain View: il primo microprocessore per l’appunto.
Donadon nel cuore del Veneto, a Vigasio, in un luogo che sembra all’apparenza lontano dalle dinamiche dell’innovazione, Intel pare che porterà un investimento miliardario.
«Sono entusiasta di questa notizia. Sapevo che qualcosa stava bollendo in pentola e che si fosse vicini a concretizzarla. Ora che se ne parla vuol dire che è un risultato vicino. E finalmente non è più il nostro territorio che va in Silicon Valley, penso ai nostri tanti talenti andati lì, primo fra tutti Faggin. Ora è la Silicon Valley che viene da noi. Qualche tempo fa c’era stato l’arrivo di Mark Zuckerberg, ricordo quando andò da Luxottica. Ed anche quello fu un segno importante. Perché mette il nostro paese, e il nostro territorio, su una giusta traiettoria. Il fatto che si riesca a portare un grosso investimento in Europa qui da noi significa riconoscere il giusto interesse e il giusto valore al territorio. Significa riconoscere le eccellenze a livello formativo che possono trovare. Loro fanno crescere noi e noi diamo loro la possibilità di crescere con la favorevole combinazione di costo del lavoro e competenza. A cui si aggiunge anche l’aspetto di qualità della vita che offre un paese come l’Italia».
Cosa ha determinato questa scelta secondo lei?
«Evidentemente un mix di fattori. Un colosso delle dimensioni di Intel non ha la nostra stessa lettura delle distanze. Di fatto sono a metà strada tra un’ottima ingegneria come Padova ed una serie di ottime facoltà come quelle che possono esserci a Milano, e non sono neppure così distanti da Torino. Ma al di là di questi ragionamenti, una carriera professionale è meno costosa in un’area come quella individuata che in una grande città. Per quanto riguarda la formazione se penso a H-campus anche noi siamo distanti dalle città, ma comunque a due ore e mezzo da Milano, due da Bologna. Sono distanze che all’estero non fanno effetto, sono distanze piccole. Noi non siamo l’attore che può portare competenze come richiede su Intel. I loro calcoli sono basati su un territorio che ha il giusto equilibrio tra competenze e capacità di accelerare. Ma ciò che dimostra questo investimento è una idea di cultura del paese, l’idea che sia giusto combattere per il talento. E che questa sia l’unica traiettoria che possa portare all’innovazione».
C’è anche un tema logistico, sulla linea del Brennero visto che questo mega stabilimento è collegato ai due che Intel aprirà in Germania a Magdeburgo.
«Sì è in una posizione strategica, c’è anche la vicinanza all’aeroporto di Verona. Sapevo di questa operazione perché il presidente Luca Zaia me ne aveva fatto cenno con grande entusiasmo, dicendo che stava lavorando per una cosa grossa e voleva portarla a casa. Credo che abbia fatto la differenza anche il commitment che si è creato attorno a questo progetto. L’ho provato su me stesso quando ho fatto l’investimento qui (in H-Campus ndr.). Superare tanti piccoli ostacoli per un investimento infrastrutturale che chiede un impegno totale e che però porta la massima soddisfazione di tutti gli attori».
Lei ha deciso ad un certo punto di puntare tutto sulla formazione, con la nascita di H-Farm Campus, una sfida molto ambiziosa.
«È una sfida difficile, perché continuiamo ad investire ed è una partita complicata che non sempre viene compresa. Dopo l’exit da Depop (il secondo unicorno italiano incubato in H-farm ndr)e l’operazione con Jakala potevano pareggiare e invece continuiamo a investire. Noi investiamo prima di portare a casa il risultato. Abbiamo ancora un anno accademico per mettere tutto sotto il segno positivo e chiudere anche la parte di college, dove abbiamo quasi 300 matricole».
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