Dazi Usa, il Consorzio Prosecco: «È uno schiaffo forte, ma reagiremo»

Il presidente Guidolin: «Negli States 130 milioni di bottiglie l’anno: è il 23% dell’export. Le ricadute andranno valutate nel tempo. Ma il sistema è solido e siamo pronti a diversificare i mercati»

Francesco Dal Mas
Giancarlo Guidolin, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco doc
Giancarlo Guidolin, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco doc

«Siamo dispiaciuti, di certo non è una buona notizia. La conferma di un dazio del 15% sul vino europeo, incluso il Prosecco, rappresenta un fattore critico. Tuttavia, restiamo fiduciosi che le trattative internazionali possano in futuro portare a una revisione, almeno per quanto riguarda le denominazioni certificate. Il Prosecco Doc non è solo un prodotto commerciale, ma espressione autentica di qualità, territorio e cultura». È la reazione di Giancarlo Guidolin, presidente del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, che si estende dal Veneto al Friuli, alla conferma del 15% di dazio sui vini italiani. «Un colpo pesante per la prima denominazione vinicola d’Italia, che ha negli Usa il suo mercato di riferimento», afferma Guidolin

Ma il 15% quale impatto avrà sul prezzo finale negli Stati Uniti?

«Stimiamo un rincaro tra i 2 e i 3 dollari a bottiglia per il consumatore americano. Un aumento che rischia di rendere il nostro prodotto meno competitivo, soprattutto nei canali retail, dove il prezzo è decisivo».

Il sistema Prosecco può reggere questo colpo?

«Il sistema è solido, ma oggi è ancora difficile quantificare l’impatto di questi dazi. Sappiamo che ci saranno delle conseguenze le cui ricadute andranno valutate nel tempo, e interesseranno l’intera filiera: produttori, imbottigliatori, esportatori. Per questo abbiamo già da tempo attivato una impegnativa strategia di diversificazione dei mercati».

Quanto pesa oggi il mercato statunitense?

«Gli Stati Uniti assorbono oltre 130 milioni di bottiglie all’anno, pari al 23% dell’export del Prosecco Doc, per un valore che si aggira attorno al mezzo miliardo di euro. È il nostro primo mercato estero, difficile da sostituire nell’immediato».

Eppure le certificazioni sono in crescita.

«Sì, nel primo semestre del 2025 abbiamo registrato un +6,3% nelle certificazioni. È un dato incoraggiante, segno che la domanda globale tiene. Ma se il mercato americano dovesse frenare, dovremo ritarare le stime».

Come si presenta l’ormai prossima vendemmia?

«Molto bene. Le uve sono di qualità eccellente, anche se la produzione presenta una leggera flessione in termini quantitativi rispetto all’anno scorso. Abbiamo già iniziato la raccolta delle varietà precoci, come il Pinot Grigio, che rientra tra le uve complementari autorizzate dal disciplinare Prosecco Doc».

Recentemente avete chiesto l’ampliamento della superficie a terra di 6 mila ettari. Perché?

«Perché servivano a rispondere a una domanda in costante crescita. Negli ultimi cinque anni abbiamo dovuto ricorrere ad attingimenti straordinari per un totale di oltre 30 mila ettari. Solo nel 2025, visto l’aumento produttivo del 6%, abbiamo avuto bisogno di 300 mila ettolitri di vino in più rispetto all’anno precedente» .

Ci sono mercati alternativi agli Usa su cui poter puntare?

«Assolutamente sì. Il Consorzio, seguendo una strategia di internazionalizzazione plurale, è da sempre attivo nella diversificazione. Oggi alcuni mercati emergenti in Europa dell’Est, in Asia o persino in Africa stanno crescendo, talvolta a doppia cifra. Tuttavia, nessuno di questi può sostituire, da solo, il peso specifico degli Usa».

E sul fronte dell’innovazione? C’è un futuro per il Prosecco dealcolato?

«Non per il Prosecco Doc. Il nostro vino ha una sua identità organolettica ben precisa, ed è già più leggero rispetto ad altre tipologie, ma deve mantenere un tenore alcolico essenziale per definirsi tale. Siamo favorevoli alla sperimentazione su versioni a gradazione ridotta (8–9% di volume), più in linea con i nuovi stili di consumo. Ma Prosecco senza alcol, no grazie».

Quali sono le prospettive per il futuro della denominazione?

«Positive, nonostante le sfide. Nel 2024 abbiamo superato i 660 milioni di bottiglie vendute, di cui l’82% esportate. Lavoriamo allo sviluppo di tutte le tipologie: spumante, rosé, biologico, rifermentato in bottiglia. Stiamo investendo in ricerca, sostenibilità, nuove varietà resistenti. Il nostro modello tiene perché è flessibile e radicato. E perché non abbiamo mai smesso di ascoltare i consumatori». —

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