Crisi in Medio Oriente, Moretto (DB Group): «Dall’instabilità globale rischi per l’energia»
La top manager: «Le aziende cercano di adattarsi a uno scenario che cambia di settimana in settimana. Ma le turbolenze ci sono»

Silvia Moretto è Ceo di DB Group, azienda di spedizioni internazionali e logistica di Montebelluna con 72 filiali e circa 1000 dipendenti. Dal 2019 al 2022 è stata presidente di Fedespedi e vicepresidente vicario di Confetra. Attualmente fa parte del Consiglio di presidenza di Confindustria Veneto Est, con delega agli Affari Internazionali: «La nuova crisi in Medio Oriente sta provocando fragilità importanti nelle catene di fornitura internazionali».
I venti di guerra rischiano di estendersi dopo la crisi di Suez. Con quali conseguenze?
«Nel recente passato, come è accaduto con il blocco del canale di Suez nel 2021 a causa di una nave incagliata, abbiamo imparato quanto possa essere vulnerabile l’organizzazione globale della supply chain. Ogni volta che si verifica uno choc internazionale si creano congestioni, accumuli di carichi (backlog) e picchi di domanda che sconvolgono la catena globale della logistica».
Oggi lo scenario è più preoccupante per i traffici aerei e via mare.
«Il trasporto aereo è coinvolto in modo diretto dal conflitto fra Israele e Iran costringendo a modificare le rotte per evitare di sorvolare le zone di guerra. Il traffico marittimo è sotto pressione: lo Stretto di Hormuz è diventato la nuova potenziale zona di rischio. Tutto ciò rappresenta una nuova disruption per la catena logistica mondiale».
Le crisi geopolitiche stanno accelerando da tempo la tendenza alla regionalizzazione dei traffici.
«Un processo già in atto. Le tensioni geopolitiche e l’instabilità globale, che ormai sono diventate strutturali, stanno spingendo molte aziende a ripensare le proprie strategie logistiche e produttive. Rispetto all’epoca della globalizzazione spinta, in cui si produceva dove costava meno, oggi si guarda di più alla resilienza della filiera: meno rischi, maggiore reattività. In questo contesto, il concetto di “nearshoring” e "friendshoring" (produzione in Paesi vicini e in Paesi stabili) sta diventando parte integrante delle strategie aziendali».
Quale impatto hanno avuto finora i dazi di Trump?
«Nonostante l’aumento delle tariffe negli Stati Uniti, le aziende nordestine non hanno realmente abbandonato il mercato Usa, che resta strategico. Piuttosto si registra maggiore prudenza. Allo stesso tempo, si è cercato di diversificare e ridurre la dipendenza da fornitori lontani. Già durante la pandemia, molte aziende hanno iniziato a studiare modelli di filiera più corta. L’orientamento è chiaro: ridurre il rischio legato ai costi di trasporto, ai blocchi logistici e alle tensioni geopolitiche. Non una deglobalizzazione, ma una globalizzazione più selettiva, più regionale e più prudente».
Le imprese hanno bisogno di una regia europea?
«Serve maggiore coesione, non solo tra Paesi ma anche a livello istituzionale, affinché l’Unione Europea possa diventare un vero punto di riferimento in uno scenario globale sempre più instabile. Le aziende esportatrici, soprattutto quelle nordestine, già si muovono in autonomia, adattandosi e cercando soluzioni. Ma vedere che anche le istituzioni europee si attivano sarebbe un segnale forte e rassicurante per tutti. Soprattutto se pensiamo al rischio di aumenti del prezzo del petrolio».
Come la crisi in Medio Oriente e l’era dei dazi cambia la mappa del commercio globale?
«La situazione, dal punto di vista politico e commerciale globale, resta estremamente instabile. Non ci sono più certezze consolidate, e questo rende difficile pianificare strategie a lungo termine. Il Medio Oriente, uno dei mercati cui le nostre aziende continuano a guardare con grande interesse, negli ultimi cinque anni è cresciuto molto. L’accordo sui dazi tra Stati Uniti e Cina sembra aver sbloccato almeno in parte alcune tensioni».
Previsioni?
«Le aziende cercano di adattarsi a uno scenario che cambia ogni settimana. Nonostante questo, nel primo semestre abbiamo osservato alcune turbolenze sui traffici transatlantici. Sono segnali da monitorare con attenzione. Guardiamo con più preoccupazione al secondo semestre, dove l’escalation di alcuni conflitti potrebbe accentuare l’instabilità globale con effetti negativi sulla domanda e sui consumi di energia».
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