Brionvega, una mostra celebra l’impresa, l’innovazione e il design

Una mostra per celebrare un’epopea che ha visto coniugare design di altissimo livello e tecnologia, a partire dal sito produttivo inserito in un contesto naturalistico senza storpiarlo, anzi quasi a sparire per una sorta di rispetto del territorio. Stiamo parlando di Brionvega, un marchio che ha fatto la storia della televisione in Italia. Ma che ha avuto anche un importantissimo riflesso sociale nella Marca trevigiana, nella transizione da un mondo quasi esclusivamente agricolo a quello delle Pmi e delle industrie che hanno fatto del Veneto la locomotiva d’Italia.

È proprio questo, oltre alle geniali intuizioni di design, che intende sondare la Pro Loco di Asolo, insieme all’assessorato alla cultura, in vista di un’esposizione che si terrà il prossimo anno, tra aprile e maggio.
Sarebbe in qualche modo facile occuparsi degli iconici prodotti usciti dallo stabilimento di Ca’ Vescovo (dal radiofonografo RR226 alla Radio cubo, nome ufficiale Radiocubo TS502, e ovviamente al televisore Algol) e dei loro creativi creatori come Livio e Achille Castiglioni, Mario Bellini, Richard Sapper, Ettore Sottsass e Rodolfo Bonetto, e Marco Zanuso che oltre ai prodotti progettò questo stabilimento innovativo che ora è uno dei grandi esempi di architettura contemporanea.

Basterebbe rivolgersi ai tanti collezionisti o ai musei di arte contemporanea per avere o vedere quei “pezzi” che hanno fatto la storia: in primis a Franco Gigliello, l’allora capo della produzione di Brionvega, che metterà a disposizione la sua rara collezione. Quello che invece si vuole raccontare, soprattutto, è che cos’è stata la Brionvega tra la gente dell’Asolano. E per questo la Pro Loco si rivolge a tutti coloro che hanno contribuito a questa epopea, per raccoglierne le testimonianze e le memorie e capire come per loro cambiò il mondo: «Riteniamo» spiega la presidente Beatrice Bonsembiante «che Brionvega abbia avuto un ruolo strategico nel far cambiare mentalità al territorio, e ci sono ancora testimoni che possono raccontarci quella differenza che fa scuola anche oggi».
È sostanzialmente una questione di mentalità: Brionvega può essere assolutamente accomunata a storie di altre grandi imprese, si pensi all’Olivetti o alla Marzotto, dove all’intuizione e all’innovazione produttiva si è aggiunto qualcosa (molto) in più nel rapporto di lavoro. «Per certi aspetti anche “scandalosi” per l’epoca» continua Bonsembiante «molti si ricordano che altri imprenditori non erano per niente d’accordo che le ragazze appena sedicenni assunte in Brionvega prendessero lo stesso stipendio di un operaio, maschio e maggiorenne: erano donne e per giunta ragazze, “giusto” che prendessero di meno». Oppure i dieci minuti di pausa “obbligata” dalle 10 alle 10.10 e dalle 15 alle 15.10 che un dipendente poteva dedicare a una passeggiata nel parco dello stabilimento.

Lo stabilimento industriale Brionvega di Casella d’Asolo aprì l’8 maggio 1967 e chiuse nel 1986: il marchio riporta all’imprenditore Giuseppe Brion che insieme all’ingegner Leone Pajetta, di Piombino Dese, fondò a Milano nel 1945 la B. P. M. (Brion Pajetta Milano), che produceva componenti elettronici. Dal 1950, cambiò ragione sociale in Vega B. P. Radio, specializzandosi nella produzione di apparecchi radiofonici. Più tardi, con l’arrivo in Italia della televisione, l’azienda si inserì nella produzione di apparecchi televisivi, assumendo la denominazione di Radio Vega Television.
Nel 1963, con l’uscita di Pajetta dalla Società, l’azienda si chiamò semplicemente Brionvega. Sono di questi anni le collaborazioni con i grandi designer, l’apertura dello stabilimento di Asolo e il successo commerciale. «La storia quasi ventennale di questa industria è sedimentata nella memoria collettiva dei cittadini di questo territorio» dice la presidente della Pro Loco «molte persone che vi hanno lavorato conservano gelosamente nelle loro case molti dei prodotti che oggi sono, ad esempio, al Moma. Questo testimonia un interessante senso di appartenenza destinato a durare nel tempo, la consapevolezza di aver fatto parte di una storia importante. Crediamo che questo particolare rapporto possa essere ancora oggi un messaggio fondamentale per il mondo del lavoro, prendendo esempio da un posto dove la bellezza si respirava anche solo guardando la sede produttiva».
Già, la bellezza, o meglio la grande bellezza: perché non è un caso che proprio dalla famiglia Brion, e in particolare da Ennio Brion, figlio di Giuseppe, sia poi arrivata un’altra intuizione: quella di affidare all’archistar Carlo Scarpa la realizzazione della tomba di famiglia nel piccolo cimitero di San Vito di Altivole (terra natale dei Brion), un capolavoro recentemente tornato a nuova vita.
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