Autunno caldo a Nord Est tra crisi aziendali e Cig
Sono 46,2 milioni le ore autorizzate di ammortizzatori sociali tra Veneto e Friuli Venezia Giulia nel primo semestre 2025

Nelle fabbriche e nei capannoni del Nord Est la luce resta accesa, ma spesso il ritmo delle macchine si è fatto intermittente. È la fotografia che emerge dai dati di cassa integrazione e dagli ultimi report sul mercato del lavoro: il sistema produttivo veneto e friulano tiene, ma fatica a crescere con la stessa intensità degli anni passati. Le linee non si fermano del tutto, ma l’uso crescente degli ammortizzatori sociali è il segnale che le imprese devono prendere fiato. Il primo semestre 2025 ha infatti consegnato un’immagine a doppia faccia del mercato del lavoro. Da un lato i dati della banca dati Inps sulla cassa integrazione mostrano un aumento del ricorso agli ammortizzatori sociali, dall’altro i report occupazionali confermano segnali di rallentamento rispetto all’anno precedente.
I numeri
Il bilancio complessivo parla di oltre 46,2 milioni di ore autorizzate tra Veneto e Friuli Venezia Giulia nei primi sei mesi dell’anno, con una crescita del 7,7% rispetto al 2024. Nel dettaglio, il Veneto ha totalizzato 38,1 milioni di ore, in aumento del 9,2% sul 2024, mentre il Friuli Venezia Giulia si ferma a 8,1 milioni, appena l’1,4% in più dello scorso anno. I dati confermano come il tessuto produttivo nordestino, pur ancora in crescita occupazionale, stia attraversando una fase di tensione: il maggiore ricorso alla Cig riflette difficoltà diffuse in settori chiave, dalla meccanica all’occhialeria, dal tessile all’automotive. Una parte del dato va incrociato con l’analisi di Veneto Lavoro, che a luglio ha registrato un deciso rallentamento della crescita occupazionale: +3.500 posti contro i +7.700 del 2024 e assunzioni in calo del 6%. Il saldo dei primi sette mesi resta positivo, +77.900 contratti, ma al di sotto delle 85.500 posizioni dell’anno scorso. A pesare sono soprattutto la frenata nei rapporti a termine, le difficoltà di reperimento di personale e il calo della domanda di lavoro.
Le crisi aziendali
Il quadro delle singole vertenze aiuta a spiegare i numeri. A Longarone, nello stabilimento ex Safilo, Innovatek ha confermato il ricorso alla cassa integrazione senza integrazione salariale: un segnale preoccupante per un centinaio di addetti che si troveranno a vivere con indennità ridotte a 750-1.000 euro. Il settore eyewear resta cruciale per il Veneto e il Bellunese, ma l’export ha mostrato nel primo semestre una contrazione del 4,8% in provincia e del 3,8% in regione, soprattutto verso i mercati extra Ue e gli Stati Uniti (-41,4% per Belluno). Non va meglio per la Likum nel Trevigiano, con 95 addetti coinvolti in una vertenza che ha visto naufragare l’arrivo di un investitore locale e la prospettiva di un ricorso alla cassa per cessazione. I sindacati chiedono garanzie economiche e un ammortizzatore sociale di dodici mesi. In Friuli Venezia Giulia la situazione non è meno delicata. Le ore autorizzate di Cig hanno raggiunto quota 8,1 milioni, in crescita rispetto ai 7,99 milioni del 2024 ma su livelli storicamente elevati. L’area più colpita è quella di Pordenone seguita da quella di Udine. La meccanica, che rappresenta oltre la metà delle ore complessive richieste, ha registrato un incremento del 21% sul 2024. Crisi aperte riguardano Electrolux, Savio e la Marelli Automotive Lighting di Tolmezzo, che ha attivato sei settimane di Cig ordinaria per oltre 600 dipendenti a causa della riduzione degli ordini di Audi. A Trieste pesa il fallimento di Tirso e la ristrutturazione di Wärtsilä.
Le dinamiche settoriali
Il ricorso crescente alla cassa integrazione evidenzia le differenze tra i comparti. L’industria metalmeccanica resta un pilastro del Nord Est e, pur tra oscillazioni della domanda, mostra una relativa tenuta: la Cig ordinaria è stata utilizzata come strumento di gestione delle fluttuazioni produttive, più che come risposta a crisi profonde. Segnali positivi arrivano anche dall’alimentare, che continua a trainare l’export e il made in Italy, confermando la resilienza delle filiere agroindustriali venete e friulane. Al contrario, restano in sofferenza il tessile-abbigliamento e l’occhialeria, dove i grandi player e le medie aziende sono costretti a ricorrere con frequenza agli ammortizzatori sociali. In particolare, l’occhialeria bellunese ha visto raffreddarsi gli ordinativi sui mercati extra europei, mentre le vendite in Europa hanno mostrato maggiore tenuta. Il settore moda e accessori continua invece a scontare la concorrenza internazionale e i margini compressi, con un utilizzo significativo di Cig straordinaria. Nel complesso, la fotografia settoriale mette in luce come la Cig nel Nord Est sia usata sia per fronteggiare crisi aziendali vere e proprie (occhialeria, automotive, tessile), sia per governare cicli produttivi eccessivamente volatili (meccanica, logistica, turismo). È in questa cornice che si spiegano i dati del primo semestre: la Cig ordinaria cresce come strumento di gestione delle congiunture, mentre quella straordinaria resta legata a casi industriali di crisi conclamata.
Prospettive e rischi
La fotografia complessiva restituisce un Nord Est che non perde la sua base occupazionale, ma la vede erosa da incertezze globali e crisi di settore. Le imprese affrontano la competizione internazionale, il peso dei dazi e la transizione green, con margini sempre più compressi. Nel frattempo, il sistema degli ammortizzatori resta centrale ma rischia di diventare uno strumento ordinario più che straordinario. Per i sindacati, la priorità è garantire non solo il reddito ma anche percorsi di riqualificazione e politiche attive. Per le istituzioni regionali, l’obiettivo è salvaguardare la vocazione manifatturiera e attrarre nuovi investimenti, come testimoniano i tavoli regionali convocati a ripetizione dall’assessore Valeria Mantovan in Veneto e da Alessia Rosolen in Friuli. Il futuro dipenderà dalla capacità di tenere insieme la tenuta occupazionale con le trasformazioni produttive in corso in un contesto geopolico frammentato. La sfida è quindi duplice: evitare che la cassa integrazione diventi un rifugio permanente e, allo stesso tempo, rilanciare la competitività del Nord Est. In un territorio che resta tra i più dinamici d’Europa, ma che oggi appare segnato da una crescita fragile e da un’incertezza che pesa tanto sulle aziende quanto sui lavoratori.
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