Artigiani più tecnologici: i riparatori fanno spazio agli esperti del digitale

Se le professioni tradizionali soffrono, anche in Veneto emergono settori con importanti tassi di crescita come la logistica, il cinema e audiovisivi, le imprese di pulizia e del verde, l’Ict. A dirlo sono i dati Infocamere elaborati dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Veneto

Maria Chiara Pellizzari

In 10 anni quasi un artigiano veneto su quattro ha gettato la spugna, con un crollo di quasi 44.500 unità. Se nel 2014 ne contavamo 186.398, l’anno scorso la platea è scesa a 141.958 (-24 per cento). A denunciarlo l’Ufficio studi della Cgia che ha elaborato dati Inps. Preoccupano anche i numeri più recenti: tra il 2023 e il 2024 il numero è sceso di oltre 7.500 unità (-5,1 per cento).

Le situazioni più critiche si rilevano a Rovigo, che nell’ultimo decennio ha registrato una diminuzione del 31,4%, Verona (-27%) e Padova con il -24,3 per cento. Nell’ultimo anno, infine, la situazione più critica ha riguardato la provincia di Treviso che ha subito una diminuzione del numero degli artigiani del 6,1 per cento.

Sono a rischio in particolare i settori delle riparazioni e manutenzioni, mentre i settori del benessere (parrucchieri, estetiste, tatuatori) dell’ informatica e dell’alimentare presentano numeri in controtendenza. Secondo Cgia va rimessa al centro l’istruzione professionale e nei piccoli paesi (fino ai 10 mila abitanti) va istituito un reddito di gestione delle botteghe artigiane.

I dati Infocamere elaborati dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Veneto confermano la transizione profonda. Se le professioni tradizionali soffrono, emergono settori con importanti tassi di crescita come la logistica, il cinema e audiovisivi, le imprese di pulizia e del verde, l’Ict.

In particolare in Veneto nel 2024 le imprese digitali sono aumentate del 6,6%, quasi il doppio della media italiana.

Per il Presidente Roberto Boschetto «a dare un segnale importante sono i giovani, che non rifiutano l’artigianato ma chiedono di reinventarlo. A preoccuparci è la carenza strutturale di manodopera specializzata: il 59,2% delle nostre imprese fa fatica a trovare collaboratori formati, percentuale che sale a 65,2% se si considerano solo gli operai specializzati. Se vogliamo che l’artigianato resti motore di sviluppo, dobbiamo investire nella formazione, valorizzare l’autoimprenditorialità e sostenere chi innova».

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