Il re Prosecco: anche l'Eldorado ha le sue nubi

Un successo che ha conquistato i mercati e gonfiato i prezzi di uva e terreni. E adesso la sfida principale è garantire la sostenibilità: economica, sociale e ambientale delle colline del Nordest

L’imperatrice Livia Augusta visse fino a 82 anni grazie al Prosecco. Questo vino era infatti ben conosciuto dai romani con il nome di Puccino. «Ed or ora immolarmi voglio il becco con quel meloaromatico Profecco» recitava Aureliano Acanti nel 1754. Il nome Prosecco nasce nel 1600: allora descriveva un vino bianco del Carso triestino, coltivato nel territorio di Prosecco. Nel 1800 la produzione si sposta in collina, per trovare nella pedemontana trevigiana il terroir d’elezione. Nel 1900 si affina la fermentazione; poi arrivano la tecnologia e il consumo globale.


Fenomeno Prosecco
A tre lustri da inizio del XXI secolo, il Prosecco è un boom. È il 2015 l’anno della svolta: la crescita è più di valore che di quantità. Nel Regno Unito le bollicine nordestine sorpassano lo Champagne. Vola l’export a +23%: sette bottiglie su 10 finiscono oltre confine. I prezzi segnano +24%. Il consumo è di 1,7 miliardi, prezzo medio a scaffale: 4,5 euro a bottiglia. Ma è proprio questo uno dei segreti del successo: il prosecco è una vino semplice, per tutti. Non bisogna essere degli intenditori. Si mescola negli spritz, si stappa a Capodanno, a casa, al bar. La domanda e il Consorzio di Tutela, con l’ok di Veneto e Friuli Venezia Giulia, incrementa di 3 mila ettari i vigneti a Glera che è l’uva caratteristica di queste bollicine, allargando lo schedario della Doc che oggi abbraccia 9 province per 2,9 milioni di ettolitri. Ed è arrivato settimana scorsa l’ok della Regione Veneto alla riserva vendemmiale 2016 che consentirà la classificazione Doc per il 20% del raccolto, altrimenti classificato «uva comune».


La primavera del Prosecco
La riserva serve per «far fronte alle annate successive a carenze di produzione, o soddisfare esigenze di mercato». Nei fatti si produrranno 600 mila ettolitri di Doc in più. A un prezzo base di 2 euro al litro sono 120 milioni in tasca ai produttori. Si tratta del massimo consentito dalla disciplinare della Doc e il dato comprende anche la quota del Friuli Venezia Giulia (in delibera in Giunta a fine settembre), con una suddivisione di 470 mila ettolitri Veneto e 130 mila in Fvg. Nel 2015 la quota fu di 480 mila ettolitri, 375 mila in Veneto e circa 100 mila per il Fvg.


I prezzi dei terreni intanto sono schizzati alle stelle e sempre più viticoltori impiantano Glera. Nel 2010, dati Corriere Vinicolo, si contavano 16.145 ettari; nel 2015 sono oltre 26 mila (+64,6%). Dinamica simile si registra nel Pinot grigio che sta andando verso una Doc interregionale: 10.053 ettari nel 2010, oltre 24 mila nel 2015: +143%. A soffrirne sono le altre varietà, alcune impiantate solo a Nordest: Merlot -2,1%, Cabernet Sauvignon -16,6%, Garganega (-14,2%), Rondinella (-2,2%), Pinot bianco (-32%) ma anche Raboso, Verduzzo e Refosco.
Oggi il Prosecco doc vale 225 euro a quintale (dato luglio 2016 borsino Ismea su luglio 2015), il Conegliano Valdobbiadene quota 270 a quintale, +20%. Il Chianti classico, a confronto, vale 275, +8,9%. Coldiretti Veneto calcola che oramai il 70% della produzione è a Glera, Pinot grigio e Garganega che è l’uva del Soave. Tutti bianchi.


Miniere d’oro
«Avere oggi un po’ di campi per coltivare Prosecco è come possedere una miniera d’oro» dicono gli addetti ai lavori. Sarà per questo che hanno deciso di darsi al buon vino anche Alessandro Del Piero e il campione olimpico Daniele Molmenti. In provincia di Treviso i terreni valgono 20-25 euro al metro quadro e le terre sono introvabili. Anche perché la produzione doc è contingentata. In Friuli i costi sono minori: 7-8 euro. La vendemmia 2016 si preannuncia ottimale e, stando così le cose, un ettaro di prosecco renderà circa 30 mila euro. Tutto bene, dunque? Dipende.


La sfida della sostenibilità
«Siamo a rischio monocoltura», avvertono le Cassandre, che ricordano come le mode, spesso effimere, si contrappongano talvolta alla passione per il prodotto e alla qualità. L’Sos l’ha lanciato il governatore veneto Luca Zaia, chiedendo più trasparenza con la raccomandazione ai produttori di riportare in etichetta tutte informazioni sul contenuto. Già da ministro dell’Agricoltura, Zaia, fissò i paletti perché il comparto non esplodesse come una bolla, indicando il Glera come vitigno e il Prosecco nel registro vini. Ora l’invito è per una bollicina sostenibile. «Sono convinto che i tempi siano maturi perché tutti i produttori diano un segnale di responsabilità», risponde Stefano Zanette, presidente del Consorzio che tutela la Doc. «Ho avuto la fortuna di entrare con Federdoc in Equalitas per certificare il prodotto nella sua sostenibilità: non so se il biologico sia la scelta migliore ma serve dare garanzie al consumatore e arrivare a una sostenibilità economica e sociale». «Fare bio non è difficile: è questione d'informazione e formazione», spiega Giorgio Piazza, produttore di Prosecco biologico con la Piazza Ags di Annone veneto. «Il biologico è un fenomeno culturale e di sensibilità, ma i riscontri economici sono interessanti.


Bollicine biologiche
Nel Prosecco fino a tre anni fa non si poteva scrivere bio, ora sì e chi lo beve sa non usiamo concimi né diserbanti». Il mercato premia: la crescita segna +20%, specie in Nord Europa. Ma questa è una produzione elitaria e di nicchia. «Il bio ha costi più salati, 15-20% in più, ma si ripagano in bottiglia», spiega Piazza, che annuncia: «Sono presidente della Doc Venezia e ci stiamo attrezzando per istituire il bio distretto Venezia, un luogo internazionale dove comprare bio». L’obiettivo è coinvolgere almeno 100 produttori.

E il Prosecco bio lo coltiva anche Albino Armani, a Casa Beldi (Tv). Qui nasce il Colfondo, il Prosecco veneto come lo bevevano i nonni. «Abbiamo sperimentato due linee diverse di viticultura con un prosecco di tradizione e una linea biologica in conversione biodinamica», evidenzia Armani. «Il bio contamina in positivo il lavoro di equilibrio dei suoli ma non deve impattare sul prezzo del consumatore. Un aiuto regionale in questo senso è auspicabile», spiega Armani che è anche presidente della Doc del Pinot grigio. «Auspico un successo: parliamo di oltre 20 mila ettari spalmati su più denominazioni nelle Venezie: è come se sommassimo più Prosecchi. Se passerà, sarà una delle Doc più vaste: l’Igt sta andando molto bene ma chiedeva un passo in più nella tutela». «Il successo di una varietà», chiude, «non può essere visto negativamente; con i benefici che ne derivano dobbiamo agire con attenzione alle varietà locali e inventarci nuove strategie per la viticoltura del futuro». «Siamo di fronte alla Doc nazionale più significativa, in grado di soddisfare la domanda del mondo», aggiunge Zanette, «è normale che in un'area dove un vitigno diventa trainante si perda un po' di diversità, ma non sarei negativo. Abbiamo 10 mila aziende produttrici con una media di 2 ettari: non è un prodotto industrializzato ma di famiglie. E il Prosecco si beve perché piace: è come un jeans alla portata di tutti, sportivo e di tendenza».


Ma la polenta è a rischio
Eppure, avverte Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, viticoltore e presidente di Confagricoltura veneto, «la nostra campagna sta cambiando in modo veloce e radicale: tutti piantano vigneti che danno guadagni. La nostra terra era abituata a grandi superfici di seminativi: sul mais eravamo autosufficienti, ora ne importiamo il 50%». «Bisogna capire come far rimanere in piedi la coltivazione di mais, grano e soia, al fianco di Pinot e Prosecco». In Veneto il mais era la prima coltura e ha nutrito generazioni di “polentoni”: quest’anno è stata seminata la metà dei campi rispetto a 15 anni fa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © il Nord Est