Il credo di Andrea Illy: «Un piano strategico per migliorare l’Italia grazie alle imprese»

PADOVA. Andrea Illy, presidente di Illycaffé, non ha sciolto la riserva. Non ha ancora detto che è disponibile a correre per Confindustria, entro fine gennaio i saggi si riuniranno per indicare i nomi, la votazione per il dopo Boccia è attesa per la fine di marzo. Ma ha una sua idea di Paese, la genetica e l’ambiente gli hanno trasmesso l’attitudine e la predisposizione all’impegno civile, ha portato nei suoi sei anni al vertice di Altagamma l’idea di un’Italia meravigliosa. La preparazione a trattare con il Governo (governi) e i diversi ministeri, durante il suo mandato si confrontava stabilmente con cinque dicasteri, l’agilità a muoversi in consessi internazionali, le relazioni con le imprese che sono la bandiera del meglio che il nostro Paese rappresenta nel mondo ne fanno un candidato ideale a guidare un’associazione che vive una delle sue fasi più difficili. E che tuttavia deve e può ricominciare ad essere il ponte tra un’idea di paese ideale e reale.
Andrea Illy lei ha vissuto in un mondo dorato, quello di Altagamma, dove le imprese sono il meglio che questo paese sa esprimere. Forse è per questo che vede un’Italia felice.
«Partiamo da un assunto. L’Italia non ha un piano strategico. Siamo un Paese che è letteralmente prigioniero del debito pubblico, che ha un livello di debito che quest’anno raggiunge 2,5 trilioni di euro e che stabilmente è al 135% del pil a cinque anni e non ha una roadmap per uscire da questa prigione del debito e perde ogni giorno di più potere negoziale sui più importanti tavoli internazionali che decidono del destino del nostro Paese. Una sorte che viene decisa dal fiscal Compact a Bruxelles, da Bce e da quanti titoli di stato italiani compra, è deciso dai mercati borsistici e soprattutto dagli analisti delle grandi banche e dai grandi fondi di investimento a livello di spread ed è deciso infine dai grandi investitori su quanto capitale estero va investito in Italia. Se un giorno qualcuno di questi decide che davvero bisogna togliere fiducia all’Italia e toglie queste quattro componenti l’Italia va a finire direttamente in default».
Questa non è una visione felice…
«Ma noi possiamo recuperare almeno un po’ di questo potere negoziale. Io faccio parte della community of chairpersons del World Economic Forum, dove questi temi vengono discussi regolarmente. Quando ho compreso la mancanza di questo piano strategico mi sono chiesto perché manca? La ragione è semplice, manca perché la politica è instabile e altalenate. Quando dico che in Altagamma in sei anni ho lavorato con cinque governi diventa evidente che un piano strategico serio ha bisogno di almeno due anni per realizzarlo. E quindi bisogna farlo e non bisogna perdere tempo. Se perdiamo potere negoziale su questi tavoli non abbiamo risorse da investire, investiamo poco, cresciamo poco e quindi è una profezia che si auto-realizza. Forse può far comodo a qualche paese vedere avverarsi questa profezia. Gli italiani poi hanno anche una caratteristica: non sono realmente consapevoli della loro potenzialità di crescita, non sono consapevoli della vera ricchezza che il paese può ancora scaricare a terra. E quindi pensano di non avere futuro, fatto che è assolutamente ingiustificato, come scrivo nel mio libro Italia Felix. Allora la domanda è perché non prova a farlo un privato questo piano?».
E’ un’ottima questione, lei che risposta si è dato?
«Il pubblico è responsabile di un terzo del pil del paese il resto lo produce il privato. Poi il pubblico spende in funzione delle necessità del privato, quindi basta dare raccomandazioni su come spendere al meglio la spesa pubblica e cercare di sfruttare al meglio la spesa privata. Quando uno ha un’idea così, unisce i puntini, e comincia a dire che può farlo la più potente organizzazione intermedia che c’è e che è Confindustria Così ho iniziato a dirlo».
E per quanto riguarda la sua disponibilità a correre per Confindustria?
«In questo momento io sto cercando di capire se c’è l’interesse per un piano strategico per il Paese. Per ora resto focalizzando su questo aspetto. Il 23 di gennaio a Davos ci sarà una sessione straordinaria proprio per parlare di una visione strategica per l’Italia, quindi prima di quella data non c’è assolutamente nulla da dire. Io ho esordito con questa idea del piano strategico all’Anci, questo non significa -ovviamente - che io voglia correre per l’Anci. Ma intendo parlarne in tutti i consessi, come con Confcommercio, sicuramente con l’Abi, l’idea è che ci sia il 100% del pil italiano rappresentato che collabora in gruppo di lavoro con il Governo in partnership per tentare di realizzare questo piano. E sono abbastanza ottimista. Se si può fare bene se non si può fare ci chiederemo perché».
Lei è una specie di bandiera naturale del Nordest.
«A Nordest ci sono molti imprenditori che sono stati pionieri, hanno fatto delle cose per primi, devo dire che il posizionamento così nitido che avevano si è in parte sfuocato dopo la crisi e non si è più ricomposto. Noi oggi abbiamo un territorio come Milano che ha fatto un lavoro straordinario. Io ho dato il mio modesto contributo alla crescita di Milano sia come presidente di Atlagamma che come partner di Expo. Va riconosciuto che la città ha fatto un cambio di 180 grandi, da grigia, cupa e depressa che era nel 2012, adesso è una delle città più trendy del mondo. Si può fare anche qui? La risposta è sì. Uno per la naturale estensione e per gli ancoraggi forti che ci sono, come bellezza e cultura. Chi ha dato uno scatto molto forte è stata l’Emilia, le quattro f: food, forniture, fashion, Ferrari, le hanno tutte e quattro. È ovvio che per un Veneto essere confinate con un territorio pulsante come l’Emilia e come il Trentino e come la Lombardia che va così forte mi sembra che però le opportunità del Veneto industriale ci siano».
Nonostante questi limiti che ha elencato?
«Io rimango Italia Felix, non so se sono inguaribile ottimista o un consapevole ottimista. In Italia ci sono tanti problemi percepiti che non esistono e ci sono tanti problemi che si possono risolvere, ma per far questo bisogna rimboccarsi le maniche e mettere in disparte il nostro individualismo. Se c’è una cosa che posso predicare, come dicevo da presidente di Altagamma, è di creare uno spirito di squadra».
E lei dice si può fare e non importa chi sta al Governo perché lei ne ha avuti cinque differenti…
«Al Governo ce li mettiamo noi, quindi l’ordine dei fattori è opposto, è la società che deve organizzarsi per avere le idee chiare di dove vuole andare e in questo gli imprenditori hanno un ruolo più importante ancora. Perché è aritmetico se i due terzi del pil vengono dal settore privato significa che chi fa la società è il privato. Perciò se vogliamo migliorare l’Italia dobbiamo iniziare dalle imprese». —
Riproduzione riservata © il Nord Est