Private banking, crescono del 39% gli investimenti nell’economia reale

A fine 2024 lo stock investito nell’economia reale italiana dal segmento ammonta a 168 miliardi di euro. Nel dettaglio, gli investimenti diretti ammontano a 51 miliardi, mentre gli indiretti a 117 miliardi

La redazione
Guglielmo Manetti, Amministratore Delegato Intermonte
Guglielmo Manetti, Amministratore Delegato Intermonte

Il private banking ha incrementato del 39% gli investimenti nell’economia reale italiana, confermandosi attore chiave nel finanziamento di lungo periodo delle imprese produttrici nazionali. È quanto emerge dall'VIII Quaderno di ricerca Intermonte, presentato all'evento “Private Banking: il ruolo del risparmio privato per la crescita del Paese” organizzato da Aipb in collaborazione con Intermonte e il Politecnico di Milano.

Lo studio evidenzia come, all’interno di un contesto in cui le famiglie italiane possiedono soprattutto quote societarie di imprese proprie non quotate e titoli di Stato, l’industria private si stia dimostrando capace di trasformare il risparmio in investimento finanziario nell’economia reale del Paese.

A fine 2024, le famiglie italiane avevano investito, complessivamente, 1.577 miliardi di euro nell’economia reale: il 20% in più del 2018, crescita però legata quasi esclusivamente all’effetto rivalutazione di mercato delle quote societarie. I flussi restano limitati e la preferenza si indirizza verso forme di investimento alternative, come il debito pubblico e gli investimenti esteri.

Rimane significativa la quota di ricchezza in liquidità (1.593,5 miliardi di euro), mentre crescono le obbligazioni (+76%) soprattutto titoli di Stato e bancari, insieme a una forte crescita delle obbligazioni estere. Gli intermediari, invece, hanno privilegiato i titoli di Stato, riducendo parallelamente gli impieghi verso le imprese produttive: i prestiti bancari alle aziende risultano infatti in calo del 13%.

Per le imprese italiane crescere è difficile: da qui ai prossimi 36 mesi solo l’8% degli imprenditori vede prospettive di forte sviluppo, mentre la fiducia del settore manifatturiero rimane debole.

La pianificazione è spesso limitata al breve periodo (annuale per due imprenditori su tre) e i fattori di crescita restano prevalentemente organici – buona gestione delle risorse e controllo dei costi (50%) – mentre ricerca, innovazione (22%) e operazioni societarie straordinarie (6%) contribuiscono in misura marginale.

Il finanziamento delle imprese continua a fare affidamento soprattutto su credito bancario (39%) e autofinanziamento (44%): fonti idonee a una gestione ordinaria, ma non sufficienti per sostenere grandi progetti di innovazione e salto dimensionale. Strumenti evoluti, come club deal, private equity, venture capital o mini-bond sono poco noti (rispettivamente, il 69%, il 55%, il 54 e il 48% non li conosce).

In questo scenario il private banking gioca un ruolo strategico. Il 23% dei clienti private è costituito da imprenditori alla guida (nell’84% dei casi) di aziende molto piccole. La relazione tra questi e il proprio private banker è caratterizzata da fiducia (97% degli imprenditori dichiara di fidarsi della propria banca), continuità (durata media della relazione di 11 anni) e intensità (14 incontri annui). L’81% degli imprenditori riconosce che proprio il rapporto con il private banker ha portato un accrescimento del proprio bagaglio di competenze.

Lato investitori, i clienti private hanno destinato 1.095 miliardi di euro a investimenti (circa la metà del totale della ricchezza finanziaria investita), livelli di liquidità contenuti (13% contro il 50%) e una quota di titoli azionari superiori a quella delle altre famiglie azionarie (30% contro 10%).

A fine 2024, lo stock investito nell’economia reale italiana dal segmento ammonta a 168 miliardi di euro, in crescita del 39% sul 2018. Nel dettaglio, gli investimenti diretti ammontano a 51 miliardi, mentre gli indiretti a 117 miliardi. Dei circa 40 miliardi di azioni quotate detenute dalle famiglie, 33 miliardi si trovano nei portafogli private. Nel caso dei mercati non quotati, la cifra è più piccola ma il contributo è maggiore: degli 11 miliardi di euro investiti in private markets italiani circa la totalità è presente nei portafogli della clientela di private banking.

«L’Italia deve affrontare una sfida decisiva: trasformare il risparmio privato in leva di sviluppo per l’economia», ha detto Andrea Ragaini, presidente di Aipb. «Farlo significa generare ritorni per le famiglie e favorire la crescita delle imprese, traendo benefici da politiche industriali e riforme fiscali che agevolino, da un lato l’utilizzo di strumenti innovativi di finanziamento di lungo periodo e, dall’altro, investimenti finanziari in economia reale».

Per Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte, «un mercato dei capitali funzionante è la condizione necessaria per trasformare il risparmio privato in sviluppo economico. Le aziende hanno bisogno di diversificare le fonti di finanziamento, superando la dipendenza dal solo canale bancario: serve un accesso più diffuso a canali alternativi, in primis ai mercati pubblici tramite quotazione, in grado di garantire capitali pazienti e di lungo periodo per innovazione, crescita dimensionale e internazionalizzazione».

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