Mps oltre l’86% di Mediobanca. La sfida ora è sulla governance

Piazzetta Cuccia con un livello di adesione così alto potrebbe essere fusa La settimana prossima, il 3 ottobre, verrà depositata la lista del nuovo board

Roberta Paolini

La cima è raggiunta. Le adesioni all’Opas di Mps su Mediobanca hanno chiuso all’86,33% ieri, 22 settembre, nell’ultimo giorno utile per consegnare le azioni. Questi livelli, ben oltre le aspettative di quando otto mesi fa irruppe nel risiko l’operazione che ha ridefinito il perimetro della finanza italiana, segnano una svolta anche per il destino di Piazzetta Cuccia.

La soglia finale, com’è noto, ora apre la strada alla fusione tra i due istituti, ma senza che sia scattato l’obbligo all’acquisto da parte di Rocca Salimbeni delle quote residue, visto che le adesioni complessive non hanno raggiunto la soglia del 90%, dopo la quale scatta in automatico l’Opa residuale.

In ogni caso, la presa del Monte dei Paschi su Piazzetta Cuccia permetterà al management di Siena di realizzare in fretta e agevolmente le sinergie industriali stimate nel piano dell’ad Luigi Lovaglio. A questi livelli, il Monte ha anche il potere di delistare Piazzetta Cuccia chiamando le rispettive assemblee per la fusione e la successivo uscita dal listino di Borsa. Uno scenario quest’ultimo che è evidente andrebbe ad influire anche sul profilo del successore di Alberto Nagel.

Sul fronte governance, si avvicina la scadenza del 3 ottobre, data entro la quale dovrà essere depositata la lista dei candidati al nuovo consiglio di amministrazione di Mediobanca, che sarà probabilmente ridotta al minimo statutario di nove membri. A lavorarci è la società di head hunting Korn Ferry, dopo che il cda in carica – con la sola eccezione di Sandro Panizza – ha presentato le dimissioni in vista dell’assemblea del 28 ottobre.

Tutte le opzioni restano aperte: da un traghettatore interno per compattare la struttura – con i nomi dell’ad di Mediobanca Premier Gian Luca Sichel e del dg Francesco Saverio Vinci – a profili esterni. In questo campo circolano i nomi di Riccardo Mulone (Ubs Italia), Francesco Pascuzzi (Goldman Sachs) e Giorgio Cocini (Pimco). L’idea è di concentrare sotto il marchio Mediobanca le attività di banca d’affari, private banking e gestione patrimoniale.

Intanto, la nuova geografia degli azionisti comincia a delinearsi. Delfin, autorizzata dalla Bce a salire fino al 20%, si dovrebbe attestare attorno al 18-19%. Il gruppo Caltagirone, che non risulta abbia chiesto un analogo via libera, si potrebbe riavvicinato al 10%. Più diluiti Banco Bpm e soprattutto il Mef, che scende attorno al 5% .

Sul piano politico, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ribadito il pieno sostegno all’operazione: «Abbiamo votato a favore in assemblea e vuol dire che pensavamo fosse una cosa positiva», ha dichiarato, aggiungendo che «ha risposto il mercato», con un’adesione «al di là di ogni aspettativa». Quanto alla posizione del Tesoro, destinato a ridursi al 5%, Giorgetti ha sottolineato: «Non avevamo il controllo prima, tanto meno ce l’abbiamo adesso», respingendo ogni accusa di favoritismi.

Mentre il futuro si gioca sulle scelte di governance, i vertici uscenti hanno continuato a monetizzato parte delle proprie stock option. La settimana scorsa Renato Pagliaro ha conferito un milione di azioni, circa la metà del suo pacchetto azioni (assegnate sulla base dei risultati); Alberto Nagel ne ha cedute 364 mila, pari a poco più del 10% dei bonus azionari; Francesco Saverio Vinci 263 mila, poco meno del 20%. Non si è trattato di un ripensamento sul merito dell’Opas ma di una scelta pragmatica per massimizzare i guadagni. Finora le performance share hanno portato circa 90 milioni, con la prospettiva di ulteriori 50-60 milioni agli attuali corsi. —

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