Mossa di Jp Morgan: è al 5,2% in Banco Bpm. Crédit Agricole alla finestra
Ai piani alti delle banche e degli advisor nazionali il telefono è rovente in questi giorni. Ai più attenti non è sfuggita la recente comunicazione di JpMorgan, che ha comunicato alla Consob di detenere il 5,2% di Banco Bpm

PADOVA. Non solo per il periodo agostano, tradizionalmente caratterizzato da un crollo degli scambi azionari e di attenzione generale, ma anche per l’avvicinarsi delle elezioni del 25 settembre, che potrebbero portare al governo Fratelli d’Italia, impegnata in queste settimane a rivendicare un certo interventismo della politica nelle grandi partite finanziarie.
Sta di fatto che ai piani alti delle banche e degli advisor nazionali il telefono è rovente in questi giorni. Ai più attenti non è sfuggita la recente comunicazione di JpMorgan, che ha comunicato alla Consob di detenere il 5,2% di Banco Bpm.
Nel recente passato la quota era stata anche superiore, ma i movimenti della banca d’affari americana, che è stata advisor del Crédit Agricole nel blitz che qualche mese fa ha portato l’istituto francese al 9% del gruppo guidato da Giuseppe Castagna, meritano di essere seguiti con attenzione.
Proprio Banco Bpm, particolarmente radicato nel Triveneto soprattutto per l’eredità del Banco Popolare, era finito nel mirino di UniCredit, interessata a ridurre le distanze dal leader nazionale Intesa Sanpaolo, ma poi l’offerta non si era concretizzata per una fuga di notizie che aveva fatto impennare le quotazioni della preda.
Qualora finisse nelle mani Crédit Agricole, il gruppo francese diventerebbe il terzo operatore del credito in Italia. In nessun Paese dell’Ue ci sono operatori stranieri con una tale forza.
Nel prossimo futuro Banco Bpm e Crédit Agricole si confronteranno su diversi tavoli: la gara per la bancassurance di piazza Meda è la scadenza più immediata con il ramo danni della banca italiana in palio (tra gli operatori interessati a un accordo c’è anche Generali, oltre all’altra francese Axa), ma presto i due istituti potrebbero aprire anche il dossier del credito al consumo. In particolare, la banca guidata da Castagna deve decidere se esercitare il diritto di vendere il 39% detenuto in Agos Ducato.
Non è poi escluso un ritorno di fiamma di UniCredit, con Andrea Orcel che potrebbe tentare un nuovo affondo su Banco Bpm dopo aver rivoluzionato tutta la prima linea manageriale, inserendo nelle posizioni chiave uomini di sua stretta fiducia.
Sullo sfondo resta sempre Mps, che attende il via libera della Commissione Ue sulla proroga del regime di nazionalizzazione. Francoforte dovrebbe esprimersi prima dell’assemblea che il 15 settembre sarà chiamata a deliberare sul nuovo aumento da 2,5 miliardi.
Risorse che dovrebbe consentire il definitivo rilancio dell’istituto senese, rendendolo più appetibile per potenziali compratori. Fermo restando il piano B, inserito nel programma della Lega, che vede la trasformazione di Mps in una banca dei territori. Il che, tuttavia, comporterebbe un impegno ancora lungo da parte dello Stato.
Di sicuro c’è che oggi gli istituti italiani presentano uno stato di salute sensibilmente migliore rispetto al post-crisi finanziaria del 2008. La profonda pulizia di bilancio e le numerose ricapitalizzazioni hanno consentito ai primi cinque istituti della Penisola (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Bper e Mps) di superare senza particolari patemi la crisi pandemica.
Tanto che il primo semestre 2022 ha visto crescere l’utile netto aggregato nell’ordine del 7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno grazie a maggiori ricavi, minori spese operative e al calo del costo del credito. Conti in ordine che facilitano la ricerca di nuove aggregazioni.
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