L’intervista all’ad di Generali Donnet: «Debito pubblico, l’Italia ce la farà nessun allarme per le agenzie di rating»

La guerra in Israele e a Gaza, i timori di una recessione in Europa, la manovra del governo: il numero uno delle Generali racconta come il colosso assicurativo sta affrontando le emergenze del momento. E dice: «Il Nord Est è casa mia»
Luca Piana

Philippe Donnet risponde da Atene, dove nei giorni scorsi ha incontrato i top manager del gruppo Generali, il colosso assicurativo che guida dal 2016. Con la nuova guerra in Israele e a Gaza, i rischi di recessione in Europa, il governo alle prese con una delicata manovra finanziaria, i temi caldi sono numerosi.

Dottor Donnet, la nuova guerra oltre ad essere una tragedia comporta nuovi rischi per l’economia. Siete preoccupati?

«Ovviamente, sarebbe impossibile non esserlo. Stiamo parlando di tragedie immense, in Ucraina, in Israele e a Gaza, in tutte le altre guerre, e penso in particolare al Sudan. Per questo con la nostra Fondazione lavoriamo insieme alle Nazioni Unite per dare sostegno ai rifugiati. Poi naturalmente ci sono le conseguenze economiche, che sono importanti ma superabili e gestibili. Per questo la mia preoccupazione è più sul fronte umanitario che economico».

Una delle conseguenze potrebbe essere che i tassi resteranno elevati più a lungo di quanto si sperasse.

«Ho smesso di fare previsioni sui tassi d’interesse. Il nostro lavoro è preparare l’azienda perché sia competitiva in ogni condizione. Avevamo imparato a farlo con i tassi bassi, con quelli alti torniamo a una condizione che già conoscevamo e che è favorevole agli investimenti e al business assicurativo. Certo, bisogna gestire al meglio la transizione».

I tassi alti rendono più difficile da sostenere il debito pubblico, che a giorni andrà incontro ai giudizi delle agenzie di rating Fitch e Moody’s. Come sta operando il governo Meloni su questo fronte?

«Non sta a me esprimere un giudizio sulle scelte del governo. Siamo la più grande realtà multinazionale con il cuore italiano, siamo leader del mercato assicurativo europeo, siamo uno dei più grandi investitori e datori di lavoro del Paese. Ovviamente quando il debito pubblico è così elevato esistono i vincoli di bilancio, occorre garantire la tenuta dei conti con la necessità di investire nel futuro e nella crescita. Occorre trovare un equilibrio che, per il mercato, è importantissimo. Perciò sono convinto l’Italia lo troverà».

Quanto è concreto il rischio che i Btp possano diventare titoli “junk bond”?

«L’Italia è un grande Paese, con molte risorse, si farà quel che si deve fare. Sono certo che sarà così».

I rendimenti elevati dei Btp stanno facendo concorrenza al settore assicurativo, soprattutto alle polizze vita. Come vivete questa fase?

«Un rialzo così brutale dei tassi ha messo sotto pressione una parte del nostro portafoglio vita. Non va dimenticato che Generali è da molti anni il leader assoluto in Europa per la raccolta netta nelle polizze vita, che è arrivata a toccare anche i 12 miliardi l’anno: torneremo presto ai livelli che avevamo prima del rialzo dei tassi».

Qual è la parte del portafoglio che ha sofferto di più?

«Le polizze vita vendute attraverso i partner bancari, come mostrano i risultati delle società specializzate nella bancassurance. Rispetto alle reti bancarie, che vendono le polizze come prodotti finanziarii, nei quali conta molto il rendimento, noi facciamo un altro mestiere: offriamo soluzioni di protezione per le famiglie, i professionisti, le imprese. C’è una componente di risparmio, di investimento e soprattutto di protezione. Lo facciamo da dieci anni, da quando sono entrato in Generali Italia».

Nel piano al 2024 avevate stanziato 3 miliardi per acquisizioni, con Liberty Seguros e Conning in estate siete arrivati a 2,8. Resta qualcosa per nuove operazioni?

«Ora siamo focalizzati sull’integrazione di Liberty Seguros e sulla combinazione tra Generali Investments e Conning. Abbiamo circa 500 milioni di risorse ancora disponibili ma è difficile prevedere le acquisizioni, non so davvero se da qui a fine piano ne faremo altre. Se non utilizzeremo le risorse, come promesso le redistribuiremo agli azionisti».

Nello scontro consumato il 28 ottobre nell’assemblea di Mediobanca, uno dei vostri grandi azionisti, ha prevalso la lista del cda. Che ricadute avrà su Generali?

«Sia Mediobanca che Generali sono tra quelle istituzioni finanziarie con una governance allineata alle best practice internazionali. Per quanto riguarda Generali, come Ceo del gruppo il mio unico punto di riferimento è il consiglio di amministrazione. Quanto agli azionisti abbiamo relazioni professionali e processi di engagement che funzionano molto bene con tutti gli investitori. Ricordo che il nostro team di investor relations è stato recentemente premiato come il migliore dell’anno per il secondo anno consecutivo».

Tuttavia, sia in Generali l’anno scorso che in Mediobanca ora, gli investitori si sono schierati sul fronte opposto rispetto agli azionisti Delfin e Caltagirone. Che spiegazioni si è dato di questa scelta?

«Posso fare solo un commento in generale, che vale per tutte le grandi società quotate. Quando gli investitori sono soddisfatti dei risultati raggiunti dal management, tendono a privilegiare la continuità. Non vogliono assumersi rischi inutili».

Nel disegno di legge Capitali ci sono novità che possono influire sulla governance delle società quotate e indebolire le liste per i cda decise dagli uscenti. Cosa ne pensa?

«Sulla versione attuale ho qualche perplessità, si corre il rischio di rendere ingovernabili le grandi società quotate. Se fosse approvato come è adesso, non si tratterebbe di un segnale positivo nei confronti del mercato, di cui l’Italia invece ha un grande bisogno. Non vedo la necessità di stravolgere un sistema che funziona ed è già molto vicino alle migliori prassi internazionali, specialmente in Europa».

In questi giorni numerose città italiane sono state nuovamente allagate. L’aumento delle catastrofi naturali rende più rischioso il mestiere di assicuratori?

«La frequenza e l'intensità di questi fenomeni aumentano in tutto il mondo, nessun Paese si può considerare al sicuro. I costi sono diventati un problema serio, al quale in Italia se ne associa un altro: il “protection gap”, il fatto che molti cittadini e molte imprese non abbiano adeguate coperture assicurative. Da dieci anni sostengo la necessità di dare vita a partnership tra pubblico e privati per permettere loro di coprirsi dai rischi. Ora mi sembra che ci siano segnali positivi nel disegno di legge di bilancio, con particolare riferimento alle imprese. Occorre però non dimenticare le famiglie e affrontare l’argomento attraverso una buona concertazione con il settore assicurativo, vista la delicatezza del tema».

Le Generali sono nate a Trieste, lei ha preso casa a Venezia. Come vede il Nord Est?

«In passato il nostro gruppo si è chiamato a lungo Assicurazioni Generali di Trieste e Venezia. Le nostre radici sono qui e non lo dimenticheremo mai, perché altrimenti non riusciremmo a costruire il nostro futuro. Gli esempi di questo impegno sono tantissimi, la Generali Academy che abbiamo realizzato a palazzo Berlam a Trieste, dove formiamo i manager del futuro, il progetto di Data science & Artificial intelligence Institute a cui teniamo molto e al quale partecipano le eccellenze scientifiche del territorio, a Venezia la ristrutturazione delle Procuratie Vecchie e il supporto alla rinascita dei Giardini Reali, il campus per l’innovazione a Mogliano Veneto, gli investimenti nell’agricoltura, Ca’ Corniani, le tenute friulane e a Verona. Questo per il gruppo, perché a livello personale oltre a prendere casa a Venezia ho investito nel centro sportivo di Adriano Panatta, a Treviso. Davvero, il Nord Est è casa mia».

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