L’inchiesta su Mps-Mediobanca: l’ipotesi di concerto resta sul tavolo

Un documento Consob di settembre aveva escluso l’ipotesi, ma Authority e Procura continuano a collaborare

Roberta Paolini

Il documento Consob del 15 settembre 2025 non chiude una porta sull’inchiesta per il presunto concerto nella scalata di Monte dei Paschi a Mediobanca, anzi forse apre delle finestre. Alla luce delle evidenze comunicate dalla Commissione alla Procura di Milano, la decisione dei pm di volerci vedere più chiaro in questa vicenda appare ancora più granitica. Tant’è che hanno firmato un decreto di sequestro per andare a cercare le prove dell’ipotesi — tutta da verificare — di un accordo tra Delfin, Caltagirone e l’ad di Mps Luigi Lovaglio, a cui venerdì è stata rinnovata la fiducia da parte dell’intero board di Rocca Salimbeni.

Secondo l’Autorità di vigilanza — in un documento riportato da Il Sole 24 Ore e appunto datato settembre, mentre il decreto di sequestro è del 27 novembre — non emergono indizi «gravi, precisi e concordanti» di una condotta concertata tra il presidente di Delfin, Francesco Milleri, l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone e il ceo di Mps Luigi Lovaglio nell’operazione che ha portato la banca senese sulla rotta di Mediobanca. Una conclusione che però non spegne un’altra lettura della vicenda: quella secondo cui il coordinamento non si vede perché non si scrive, e il sospetto resta negli incroci tra storia pregressa, ruoli attuali e tempismo delle mosse di mercato. Tanto che Procura di Milano e Consob stanno continuando a comunicare e a dialogare, come avvenuto in questi mesi, ciascuno nei propri ambiti di competenza.

La magistratura, nonostante quel documento di settembre, ha continuato infatti a leggere la sequenza degli eventi come un film a soggetto unico, in cui i protagonisti entrano in scena in momenti diversi ma recitano la stessa sceneggiatura. A partire da un dettaglio: Caltagirone non è un azionista qualsiasi, piovuto a Siena per opportunità. La sua relazione con Mps è antica, complessa e costosa. Tra il 2006 e il 2011 il gruppo investì oltre 850 milioni nella banca, in una fase in cui lo stesso imprenditore sedeva in consiglio come vicepresidente. Quell’avventura si chiuse con una minusvalenza di circa 741 milioni. Una ferita diventata, nel 2022, una causa civile milionaria contro la stessa Mps, formalizzata da sei società del gruppo davanti al Tribunale di Roma: un contenzioso classificato tra i potenziali rischi legali nel bilancio 2022 del Monte.

Un anno non qualsiasi. A quell’epoca risale infatti l’intenzione — citata dal Sole richiamando le carte Consob — dell’ad di Mps Lovaglio di costruire un’operazione con Mediobanca. Un’evenienza della quale, riferisce ancora il quotidiano, l’allora ad di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, era stato informato. E quel rischio legale si trasforma, nel giro di pochi mesi, dalla categoria “possibile” a quella “remota”, come risulta dalla relazione di settembre 2023 del Monte. Una coincidenza? Può darsi. Una delle tante che si snodano nell’intricato reticolo di nessi, partecipazioni e attori di questa storia.

Nel campo delle ipotesi — che però, per la Procura, sono sufficientemente solide da giustificare la ricerca di prove — è difficile immaginare che un investitore come Caltagirone, con una storia simile alle spalle, torni in campo per mera speculazione. Ed è ancora più difficile pensare che il ritorno avvenga proprio nell’anno in cui Mps torna contendibile, con un piano industriale che riapre il dossier delle aggregazioni.

I fatti: tra il 17 e il 20 dicembre 2023 il gruppo Caltagirone rientra nella compagine con acquisti che lo portano all’1%. Da lì la quota cresce: 5% nel novembre 2024, poi ancora fino all’8%, con la Bce che nel novembre 2025 — all’esito positivo dell’Opas di Mps su Mediobanca — dà il via libera a spingersi fino al 20%. Lovaglio, dicono le carte di Consob, avvia un percorso che lo porta a ipotizzare — già a fine 2022 — l’integrazione con Piazzetta Cuccia.

Il documento, secondo la ricostruzione del Sole, sostiene che la datazione di quel progetto industriale dimostri l’assenza di un disegno comune con i nuovi soci entrati successivamente. Ma gli inquirenti, che attraverso sequestri e intercettazioni puntano a trovare riscontri, potrebbero ribaltare il ragionamento: il fatto che l’idea preesistesse non esclude che qualcuno l’abbia fatta propria e accelerata al momento giusto.

L’inchiesta penale osserva la traiettoria: partecipazioni incrociate, un collocamento opaco in cui rientrano due azionisti già in prima linea su altre partite e un terzo escluso (UniCredit), una società che cambia ambizione quando quei soci entrano, un’operazione che diventa concreta solo quando tutti e tre hanno da guadagnare da un cambio di controllo.

Nel cuore delle verifiche sulle eventuali “cordate” di azionisti, la linea di confine resta quella fissata dal TUF (artt. 101-bis e 109): solo quando vi è un coordinamento finalizzato a influenzare il controllo scatta l’agire in concerto. Se manca coordinamento e c’è solo una coesistenza di interessi.

La domanda è: gli azionisti si muovono insieme perché vogliono la stessa cosa, oppure vogliono la stessa cosa perché conviene a ciascuno di loro, individualmente?

Finché la trama dei rapporti continuerà a mostrare interessi allineati che producono effetti coordinati, la parola “concerto” resterà qualcosa di più di un fantasma procedurale: una possibilità investigativa che la Procura vuole esplorare.

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