Le Bcc restano sul territorio nonostante i costi più elevati
Grandi gruppi in ritirata dalle zone periferiche: sportelli che spariscono e piccole realtà prive pure di un bancomat: «Per avviare una filiale è necessaria la presenza di tre impiegati»

Grandi gruppi in ritirata, soprattutto dalle zone periferiche: sportelli che spariscono, piccole realtà che talvolta restano prive pure di un bancomat.
Banche di credito cooperativo che fanno della loro vicinanza ai territori un vero e proprio baluardo identitario. Ma anche il sistema delle Bcc - 12 istituti in Veneto, 8 in Friuli Venezia Giulia e ben 52 in Trentino Alto Adige - è costretto a fare i conti con i costi, sempre più elevati, per mantenere inalterata la qualità del servizio e la presenza nelle aree interne.
I numeri non mentono e sono lì a testimoniarlo, come i dati diffusi dalla Uilca nazionale e riguardanti le regioni del Nord Est. Banche di credito cooperativo e relativi sportelli stanno diminuendo, seppur in modo più rallentato rispetto ai big. E il trend sembra consolidato, vuoi per la digitalizzazione che spinge, per le spese che aumentano, per la popolazione sempre più scarsa e anziana nei Comuni periferici.
Il modo per arginare il fenomeno? Una redistribuzione complessiva della partecipazione, riuscendo ad arrivare dove altri non arrivano, come suggerisce il direttore generale della Banca delle Terre Venete, Eugenio Adamo. Oppure un mix di consulenza e presenza, puntando anche a clienti inediti quali le medie imprese, come spiega il Dg della Bcc Pordenonese Monsile, Gianfranco Pilosio. Non c’è una strada sola da seguire dunque, per il credito cooperativo, in un panorama economico nazionale dominato ancora dall’incertezza e dalla crescita dello zero virgola.
Le cifre della Uilca
Il confronto, impietoso, è tra il 2019 e il 2024. In Veneto gli sportelli di tutto il sistema bancario sono diminuiti del 17%, passando da 2.421 a 2.009 (meno 412) e nei primi nove mesi del 2025 è stata rotta la soglia psicologica dei 2 mila sportelli, scendendo a 1.972.
Nello stesso lasso di tempo i presidi veneti delle Bcc sono calati da 631 a 628, appena lo 0,5% in meno, mentre le banche, per l’azione di fusioni e accorpamenti, sono diminuite da 20 a 12.
Analizzando la situazione del Friuli Venezia Giulia si può notare come gli sportelli bancari siano passati da 673 del 2019 a 560 del 2024, per arrivare a 546 a settembre 2025, mentre quelli delle otto Bcc attive siano diminuiti dell’8,3%, da 240 a 220. In Trentino Alto Adige la flessione complessiva è stata dell’11,8%, passando da 753 a 664 sportelli, mentre le 52 Bcc hanno perso l’8,6% degli sportelli, passati da 443 a 405. I dipendenti del settore bancario hanno accusato diminuzioni in Veneto (-6,8%) e in Friuli Venezia Giulia (-15,4%), mentre Trento e Bolzano sono andati in controtendenza (+3,9%).
Le aree interne dimenticate
Sempre secondo il report dell’Ufficio studi della Uilca nazionale, in Veneto 377.147 persone (8%) risiedono nelle aree interne, zone con meno servizi e infrastrutture. Qui vi sono il 20% (113) dei Comuni della regione e il 10% (193) degli sportelli attivi.
Dei 70 sportelli chiusi nel 2024 in Veneto, quattro erano collocati nelle aree interne, mentre si è registrata solo una nuova apertura nelle stesse aree su un totale di sette nella regione. In Trentino Alto Adige 565.870 persone (52%) risiedono nelle aree interne, dove vi sono il 77% (217) dei Comuni della regione e il 63% (415) degli sportelli attivi. Degli otto sportelli chiusi nel 2024 in Trentino Alto Adige, quattro erano collocati nelle aree interne a fronte di nessuna nuova apertura. In Friuli Venezia Giulia, infine, 142.488 persone (12%) risiedono nelle aree interne. Qui vi sono il 38% (82) dei Comuni della regione e il 14% (76) degli sportelli attivi. Dei 17 sportelli chiusi nel 2024 in Friuli Venezia Giulia, due erano nelle aree interne a fronte di nessuna apertura.
«Anche le Bcc hanno chiuso uffici, ma in maniera molto diversa dai grandi gruppi - osserva Eugenio Adamo, direttore generale della Banca delle Terre Venete, presente con 58 filiali in cinque province, Vicenza, Treviso, Padova, Verona e Belluno - . Siamo banche del territorio la presenza fisica fa parte del nostro modello di business, mantenuto anche durante i momenti di crisi, tanto che la cooperazione sta andando molto bene. Gli svantaggi del modello sono rappresentati dai costi importanti, ma li sopportiamo perché fanno parte della nostra mission. Mettere a disposizione le risorse anche fisiche è un qualcosa che alla fine può risultare vincente. In un mondo sempre più dominato dall’AI la relazione personale è un quid in più che ci permette di dare un servizio completo. Noi razionalizziamo con intelligenza, non potremo non chiudere qualche sportello, nei prossimi tempi. Ma in tre anni la banca ha tagliato solamente 2 sportelli. Nel frattempo abbiamo chiuso 8 filiali, ne abbiamo aperte 6 e trasferite 7. Il risultato è che siamo presenti in più Comuni di prima, anche a Setteville dove non c’era nulla. Due regole auree. L’operatività prevalente è in favore dei soci e il 95% degli investimenti nei territori di competenza, dove ci sono filiali o al massimo nei Comuni vicini. Se sforiamo il limite del 5% del fuorizona c’è un problema di vigilanza, e questo effettivamente è un limite. Il modo di fare banca delle Bcc è strutturato in due gambe: avere tutti i servizi possibili, risparmio gestito, impieghi e sostegno al territorio. Tra contributi a fondo perduto e sponsorizzazioni Terre Venete ha distribuito oltre 3,5 milioni di euro in centinaia di interventi (coop sociali, sanità, sport, cultura, disabilità, contro la povertà). Così si rafforza il legame di fiducia con il cittadino».
«Noi siamo attivi sia in Veneto che in Friuli Venezia Giulia - racconta Gianfranco Pilosio, dg della Bcc Pordenonese Monsile - ma notiamo che in Veneto la vitalità economica comporta una richiesta di filiali e di presenza maggiori rispetto al Friuli Venezia Giulia. I grandi gruppi non seguono più i clienti che non “convengono”, ovvero i piccoli. Questo è uno spazio nostro, ma un minimo di conto economico dobbiamo farlo anche noi, siamo comunque vigilati dalla Bce. Oggi un’apertura di uno sportello prevede almeno tre dipendenti. Quanto volume dobbiamo fare per pagare tre stipendi? Il contante è diminuito, tante banche stanno chiudendo il servizio cassa, sono rimaste solo le Bcc a garantirlo, visto che abbiamo una popolazione di una certa età. Dobbiamo saper crescere, senza copiare i colossi, restare capaci di continuare a dare servizi ai piccoli e medi clienti, ma anche saperci attrezzare per catturare la media o grande azienda, senza snaturarci. Stessa cosa per la consulenza: libretto di risparmio ma anche saper fare una piccola Mediolanum. Nelle banche la differenza la fanno le persone, ho colleghi che danno risposte e che sono validi e all’avanguardia. Questo ci dà fiducia».
Flavio Piva: «La presenza fisica come scelta strategica»

«Siamo banche di comunità, e la relazione con le persone, le imprese e le istituzioni locali è il nostro punto di forza». Flavio Piva, presidente della Federazione Veneta delle Banche di Credito Cooperativo e numero uno della Bcc Veneta, spiega così il motivo per cui negli ultimi anni le banche di credito cooperativo non solo hanno mantenuto la loro presenza territoriale, ma in alcuni casi l’hanno leggermente incrementata.
Quindi la filiale fisica resta centrale anche nell’era del digitale?
«Assolutamente sì. Utilizziamo la tecnologia come tutti gli altri gruppi bancari e una parte molto rilevante delle operazioni avviene ormai su piattaforme digitali. Ma la filiale non è solo un canale commerciale: è un presidio di relazione, consulenza e appartenenza. Nei comuni più piccoli, penso soprattutto alle aree montane o ai centri sotto i 5 mila abitanti, rappresenta spesso l’ultimo riferimento finanziario rimasto».
In quali situazioni il canale fisico fa ancora la differenza?
«Per le operazioni semplici oggi tutti sono abbastanza autonomi. Ma quando si parla di scelte più complesse – un finanziamento articolato, un progetto per l’impresa, un’operazione con l’estero, la previdenza o il passaggio generazionale – la relazione diretta diventa fondamentale. È qui che il modello ibrido, digitale più presenza fisica, dimostra tutta la sua efficacia».
Questo modello sarà confermato nei prossimi anni?
«Sì, il nostro modo di stare sul territorio è confermato. I riscontri sono positivi e i numeri lo dimostrano. È chiaro che la tecnologia continuerà a porre sfide importanti e che serviranno affinamenti, ma c’è una differenza sostanziale tra chiudere uno sportello in pianura, dove a pochi chilometri ce n’è un altro, e abbandonare una comunità montana che rischia di restare completamente priva di servizi finanziari».
Qual è oggi il peso delle Bcc nella presenza bancaria veneta?
«In Veneto il credito cooperativo è presente in quasi tutti i comuni. In alcune province la nostra incidenza è particolarmente significativa: a Padova circa il 34% degli sportelli è Bcc, a Treviso il 37%, a Rovigo arriviamo al 46%, praticamente uno sportello su due».
Quanto pesa la desertificazione bancaria sul tessuto economico?
«Moltissimo. Perdere un presidio bancario significa impoverire una comunità: se ne vanno le piccole imprese, chiudono attività, si riducono le iniziative locali. A livello nazionale siamo spesso l’ultima presenza bancaria in circa 800 comuni, più di 100 solo in Veneto. È una responsabilità che sentiamo fortemente».
Il lavoro bancario è cambiato anche per voi?
«Sì, cambiano le competenze e cambiano i bisogni. Le operazioni di cassa sono sempre meno centrali, mentre cresce la domanda di consulenza a 360 gradi: dalla previdenza alla gestione del risparmio, fino al supporto alle imprese nei processi di innovazione, sostenibilità ed efficientamento energetico. Le filiali restano, ma evolvono».
I risultati economici confermano questa strategia?
«Il 2024 è stato positivo: la raccolta complessiva in Veneto è cresciuta del 6,8% superando i 29 miliardi di euro, gli impieghi hanno raggiunto i 19,4 miliardi e l’utile aggregato è salito a oltre 304 milioni. Ma il dato più significativo è la fiducia: gli sportelli Bcc sono aumentati, mentre nel resto del sistema bancario ne sono stati chiusi decine, e i soci sono cresciuti da 101 mila a oltre 109 mila».
Qual è oggi la missione del credito cooperativo?
«Restare dove altri se ne vanno. La desertificazione bancaria non è inevitabile: è una scelta. E noi abbiamo scelto di presidiare il territorio».
Occhialini: «Cresconole quote di mercato»

Nove miliardi di impieghi, 18 miliardi di raccolta totale, volumi complessivi per 27 miliardi. Soprattutto, quasi 250 sportelli. Sono i numeri delle banche di credito cooperativo in Friuli Venezia Giulia, che continuano ad accrescere la propria presenza sul territorio: se negli ultimi dieci anni la regione ha perso un terzo dei suoi sportelli bancari, passando dagli 866 di fine 2015 ai 555 di fine 2024, la percentuale di filiali delle Bcc è cresciuta dal 18 al 40%. In controtendenza rispetto alla desertificazione del settore bancario. «Lo siamo sempre stati, anche perché stare vicino alle persone è la nostra missione», spiega Luca Occhialini, presidente della Federazione delle Banche di Credito Cooperativo del Friuli Venezia Giulia e numero uno di Banca 360 Fvg.
Quanti sono oggi i vostri sportelli oggi?
«Poco meno di 250, per la precisione 247. Le chiusure sono solo quelle assolutamente necessarie, anche se è aumentata la pressione della vigilanza rispetto alla verifica del conto economico del singolo sportello. Fare banca in questo modo, mantenendo aperti gli sportelli anche nelle periferie, ha un costo, ma è ampiamente compensato dall’aumento di famiglie e imprese che si rivolgono a noi».
Il sistema delle Bcc in regione gode di buona salute?
«Lo dicono i numeri. Le nostre quote di mercato sono aumentate. In base agli ultimi dati di giugno-luglio, le otto Bcc del Friuli Venezia Giulia detengono il 45,4% del mercato nel settore dell’agricoltura, contro il dato complessivo delle Bcc Italia del 24,2%. Nel commercio siamo al 33% contro l’11,4%, su alloggi e ristorazione al 36% contro il 24,7%, tra le imprese artigiane al 43% contro il 23% del resto delle Bcc italiane e soprattutto nelle attività immobiliari raggiungiamo il 50%, a fronte del 15%. Numeri in continua crescita. Nonostante l’aumento delle quote di mercato e degli impieghi, abbiamo una copertura media delle sofferenze del 97% e una copertura degli Utp, i vecchi incagli, del 90%».
Cos’è che ancora oggi fa la differenza per le Banche di credito cooperativo?
«La storia, innanzitutto. La prima Cassa rurale di questa regione fu aperta a Fagnigola, nel pordenonese, nel 1884, appena un anno dopo la primissima fondata in Veneto. In Friuli Venezia Giulia c’è uno storico importante. In questi anni poi siamo riusciti ad avere un aumento di competenze rispetto alle esigenze della clientela, che ci consente di dare risposte analoghe, se non ancora più specializzate, rispetto al resto dell’industria bancaria. Infine, c’è l’anima sociale e cooperativa: il nostro azionista è il territorio. Portiamo a patrimonio oltre il 90-95% dei nostri utili, aumentando la patrimonializzazione e quindi le garanzie di sicurezza della banca».
Quali invece i limiti che derivano dalla vostra natura rispetto alle altre banche?
«Dal 1990, con il nuovo testo unico bancario, abbiamo gli stessi doveri e diritti di tutte le banche. L’unico vincolo che resta è l’obbligo di aprire filiali in territori limitrofi a quelli in cui siamo già presenti, ma non credo che ci penalizzi. Certo, una grande banca nazionale o internazionale ha rischi diversi, per cui una proporzionalità sulle norme bancarie europee sarebbe auspicabile. Nell’ultimo periodo si sta muovendo qualcosa su questo fronte».
Digitalizzazione e personale rappresentano delle sfide anche per voi Bcc?
«Sul fronte del personale abbiamo sempre mantenuto negli anni una media elevata rispetto alla dimensione della banca. Per quanto riguarda la piattaforma informatica e tutto ciò che attiene a intelligenza artificiale e tecnologia, contiamo molto sull’investimento a livello di gruppo, perché è lì che si gioca una parte fondamentale del futuro delle banche».
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