I pm: «Bpvi, Zonin sapeva tutto, cacciò Sorato perché tacesse»

La procura lo aveva spiegato quasi subito, appena cioè l'inchiesta aveva cominciato a prendere forma: «Non pensate che esca la famosa "pistola fumante" contro Zonin, perché non c'è». E allora per inchiodare l'ex presidente della Popolare, i pm di Vicenza Gianni Pipeschi e Luigi Salvadori hanno dovuto scavare, nei documenti, nelle mail, nelle intercettazioni e nelle testimonianze succedutesi nelle 99 udienze che hanno composto il mosaico del maxi processo contro gli ex vertici di BpVi.
LA POSIZIONE
Dell'ex presidenteUn lavoro che ieri mattina, per oltre tre ore, il pm Pipeschi ha ripercorso, nella terza parte della requisitoria, ancora non terminata. Episodi e ricostruzioni che il sostituto procuratore ha messo in fila, come frammenti di un insieme fino ad arrivare a chiudere il quadro accusatorio della procura. Che ritrae Gianni Zonin «come un presidente tutt'altro che di sola rappresentanza.
La figura di un presidente dedito all'arte, non operativo, poco più di un imprenditore prestato alla banca, non corrisponde al ruolo che Zonin ha ricoperto in BpVi», ha spiegato Pipeschi. Che poi ha rimarcato: «La sua operatività andava ben oltre quelli che avrebbero dovuto essere i suoi limiti, non solo secondo Bankitalia, ma anche secondo lo stesso statuto della Popolare». E allora il pm ha ricordato tutti gli episodi che nel corso del tempo avrebbero dovuto come minimo far insospettire l'ex numero uno di BpVi rispetto soprattutto alla massiccia presenza delle operazioni baciate.
L'accusa ha snocciolato un puntualissimo esposto (che seppur anonimo dipingeva nei minimi dettagli cosa stava accadendo in banca), l'intervento del socio Dalla Grana nell'assemblea 2014 e ancora le dimissioni del dipendente Villa che non voleva più sottostare a concludere operazioni correlate; nonché tutte le baciate che secondo la procura sono state chiuse da amici e familiari (tra cui il fratello e il cognato) di Zonin. «La banca non stava ignorando dei campanelli d'allarme, ma un vero e proprio concerto», ha puntualizzato il sostituto procuratore.
Che poi ha attaccato anche sul licenziamento di Sorato: «Il presidente Zonin tira fuori, verrebbe da dire per la collottola, Sorato, siglando un accordo economico blindato, prima che l'onda di piena finisse per travolgere il dg e questo nonostante ci fossero cose che a Zonin non andassero proprio giù del suo comportamento. Lo ha fatto perché si trovava nella necessità di mandare via l'unica persona che poteva descrivere e riportare a terzi il contenuto delle loro interlocuzioni». Insomma, secondo la procura, Sorato è stato allontanato in fretta e furia, a inizio maggio 2015, prima che potesse raccontare che delle baciate Zonin sapeva. Tutto.
«Tutti gli elementi che abbiamo elencato - ha concluso il pm Pipeschi - dimostrano come il presidente Zonin fosse perfettamente informato dell'esistenza strutturata del capitale finanziato e quindi non contabilizzato». La replica di Zonin è arrivata durante una pausa della requisitoria: «Non ho mai fatto imbrogli. Anzi, sono sempre stato rigoroso e questo mi ha dato e mi dà sempre serenità».
GLI ALTRI IMPUTATI
Ma ieri la procura ha chiuso il cerchio anche sulle posizioni di altri due imputati: l'ex dipendente, delegato alla stesura dei bilanci, Massimiliano Pellegrini e sull'ex consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto. Per il sostituto Salvadori, Pellegrini aveva piena consapevolezza del fenomeno delle operazioni correlate e del loro occultamento. Quindi a prendere la parola è stato nuovamente il pm Pipeschi: «Dal nostro punto di vista il consigliere Zigliotto ha fatto un "portage" (ha tenuto in "parcheggio" azioni della banca ndr) per un importo di 10 milioni di euro». Martedì l'accusa chiude con le richieste. --
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