Calamità naturali e sanità. «Così Generali accelera in Centro ed Est Europa»

Nel 2024 il Leone ha totalizzato 5 miliardi di premi nell’area e una quota di mercato pari all’11%. Il ceo per la regione Lostuzzi: «Puntiamo a profittabilità elevate e crescita superiore al mercato»

Giorgia Pacino
Manlio Lostuzzi, ceo della regione Central-Eastern Europe (Cee) di Generali
Manlio Lostuzzi, ceo della regione Central-Eastern Europe (Cee) di Generali

L’impatto delle tensioni geopolitiche, a partire dalla vicina Ucraina, con la forte spinta inflazionistica, ma anche l’evoluzione delle normative nazionali e la crescente frequenza di fenomeni naturali estremi, dai cicloni alle alluvioni. Dall’Ungheria alla Serbia, dalla Slovenia alla Polonia, il Centro ed Est Europa è oggi un’area strategica per il mercato assicurativo. A cui da Trieste, città storicamente proiettata verso Est, si continua a volgere lo sguardo.

«È una regione che ha sempre dimostrato, anche per sviluppo economico, una certa dinamicità», conferma Manlio Lostuzzi, ceo della regione Central-Eastern Europe (Cee) di Generali. Il Leone, presente con le prime agenzie subito dopo la sua fondazione nel 1861 e ritornato in quei Paesi dopo la caduta del Muro, è oggi il secondo assicuratore internazionale dell’area che comprende Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia con oltre 5 miliardi di premi lordi e una quota di mercato dell’11%.

Qual è il peso della regione nel network di Generali?

«In termini di volumi conta il 5% del gruppo Generali, ma in termini di contributo al risultato operativo e al flusso di cassa conta per il 13%, per cui c’è un contributo più che proporzionale rispetto alla dimensione del business. Questa regione ha caratteristiche molto diverse dall’Europa occidentale: il 70% del business è rappresentato dal segmento Danni e il business Vita conta solamente per il 30%. Esattamente l’opposto di quel che accade in Europa occidentale».

Quali sono le ragioni?

«Influiscono sicuramente alcuni aspetti culturali. Dopo la caduta del Muro, quando le economie si sono aperte, c’è stata una grossa spinta ai prodotti Vita, ma di scarsa qualità, e le autorità hanno introdotto vincoli normativi che penalizzano le polizze Vita rispetto, ad esempio, agli investimenti in fondi comuni. Poi ogni Stato ha le sue particolarità: parliamo di dieci Paesi, sette lingue, tre religioni».

Come ha impattato la guerra in Ucraina sul mercato assicurativo della regione?

«L’impatto principale è stato di tipo inflattivo. Già nel post-Covid, la regione ha dovuto affrontare un’importante inflazione che nel mondo assicurativo colpisce soprattutto il segmento Danni. Se pensiamo all’assicurazione auto, è chiaro che se i pezzi di ricambio aumentano del 35% ciò si riflette anche sui prezzi delle coperture assicurative. La crescita degli stipendi, abbinata a un basso tasso di disoccupazione, innesca un fenomeno inflattivo anche sui salari».

Come ha inciso l’evoluzione normativa sul vostro business?

«Tra le conseguenze indirette della guerra in Ucraina, in Ungheria c’è stata l’introduzione di una nuova tassazione sugli extraprofitti. In Slovenia l’inflazione ha colpito duramente le spese sanitarie e lo Stato ha deciso prima di bloccare i prezzi e poi di nazionalizzare questo business. In Romania abbiamo assistito al fallimento delle due principali compagnie che gestivano le assicurazioni auto e anche lì il governo ha deciso di bloccare le tariffe per due anni».

In che modo avete diversificato i prodotti per rispondere a queste esigenze?

«È stato un vantaggio importante il fatto di avere un focus particolare sugli eventi catastrofali. Ad esempio, in Polonia, nel comparto assicurativo agricolo, in passato il principale rischio si chiamava winter kill, la stagione fredda con meno 20 gradi. Oggi è quasi inesistente, ma è molto più frequente lo spring frost, il fenomeno delle gelate primaverili, che colpisce anche Serbia e Bulgaria. L’anno scorso c’è stato il ciclone Boris in Repubblica Ceca, due anni fa una grande alluvione in Slovenia: questi fenomeni sono sempre più frequenti e, dove l’inflazione è elevata, spesso dopo eventi simili ci si rende conto di non avere una copertura assicurativa adeguata».

Come siete riusciti a consolidare la vostra posizione nell’area?

«Abbiamo iniziato a entrare nei Paesi dell’Est subito dopo la caduta del Muro di Berlino, ma il salto di qualità è avvenuto nel 2008, quando si è stabilita la partnership con il gruppo PPF. Abbiamo integrato nel nostro gruppo la Česká pojišt’ovna, la maggiore compagnia assicurativa ceca, e razionalizzato l’area con una serie di operazioni di fusione e allineamento dei brand, tutte autofinanziate dalla regione stessa. Contiamo di continuare a crescere non solo in maniera organica, ma anche con ulteriori acquisizioni».

Quali sono oggi i risultati finanziari della regione?

«Nel 2024 abbiamo chiuso con 5 miliardi di premi, con l’obiettivo di arrivare a 6 miliardi alla fine del Piano strategico. In termini di risultato netto abbiamo raggiunto i 515 milioni di euro nel 2024. Abbiamo previsto crescite rilevanti nel triennio: l’obiettivo è mantenere profittabilità elevate, con una crescita superiore al mercato».

Quale potenziale di crescita vedete?

«Continuiamo a vivere in un contesto volatile, ma siamo confidenti, anche in questo scenario, di raggiungere e superare gli obiettivi. In particolare, sulla parte Danni prevediamo una crescita del 7%, superiore al mercato, e stimiamo di raggiungere premi superiori ai 6 miliardi nel 2027 e di avere la capacità di fornire alla capogruppo 1,8 miliardi di cash nel triennio».

Quali linee di business cresceranno di più?

«Ci aspettiamo la maggiore crescita dalle coperture malattie: un po’ dappertutto la previdenza pubblica soffre nell’offrire certi servizi e la copertura delle spese mediche rappresenta il benefit più ricercato dai dipendenti delle aziende. Un’altra linea importante in termini di sviluppo a lungo termine è l’offerta integrata: prodotti Vita, fondi pensione e asset management». 

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