Profumo riparte da Venezia: «Banche frenate dalle regole sul rischio, pochi investimenti»
L’ex timoniere di UniCredit e di Leonardo, torna con una nuova sfida: si chiama Rialto Venture Capital e punta a sostenere iniziative imprenditoriali innovative e hi tech. Due i soci veneti, Bronuzzi e Quintarelli

«Le banche sono ormai costrette dalle normative europee a fare accantonamenti per ogni credito concesso che non abbia un collaterale e sono poco incentivate ad esporsi verso investimenti considerati “rischiosi” nell’economia della conoscenza». A dirlo è un ex banchiere di rango, Alessandro Profumo. Dopo una vita ai vertici di UniCredit, Mps e Leonardo, ora è tornato in prima linea come presidente di Rialto Venture Capital — «investiamo in imprese italiane che stanno cambiando l’industria» — e mette sul tavolo un’agenda che va oltre la finanza: accesso al credito per famiglie e imprese, private asset per il retail, sicurezza europea e tecnologia come leva strategica.

La vera nuova avventura è quella che sta affrontando come presidente di Rialto Venture Capital, con quali obiettivi e quali soci?
«Rialto è stato fondato da due italiani, Simone Brunozzi e Stefano Quintarelli, a cui mi sono aggiunto io, che ricopro la carica di presidente. Ha lanciato un fondo di venture capital che investe in startup B2B avviate da fondatori italiani. Rialto si inserisce nel panorama italiano ed europeo, portando innovazione e fornendo capitale e know-how operativo in mercati ad alta validazione industriale. Abbiamo già raccolto 80 milioni, con l’obiettivo di arrivare a 100 in tempi brevi, più della media dei fondi di venture capital».
Perché sostiene che andate a portare innovazione?
«Perché solo l’8% degli investitori gestori in venture capital in Europa ha esperienza operativa diretta in startup, contro il 60% negli Stati Uniti. Noi lo stiamo facendo, con nove investimenti già avviati, con un focus settoriale su Robotica, Cybersecurity, Sanità, Cloud e digitale in genere».
Alcuni esempi dei vostri investimenti?
«Potrei citare Roboze, che usa la stampa 3D ad alta precisione per applicazioni su scala industriale, praticamente produce parti in super polimeri e compositi ad alte prestazioni, su richiesta e nei tempi previsti; K-Sport, ovvero fitness evoluto con il monitoraggio delle prestazioni, guidato per squadre di sportivi professionisti; Medicilio, la diagnostica sanitaria a domicilio, con vendita al dettaglio e attraverso ospedali privati. Vogliamo arrivare presto a quindici investimenti».
Perché questo nome per la società?
«Perché ha sede a Venezia e perché uno dei due fondatori, Simone Brunozzi, vive a Venezia ed è innamorato della sua città e del ponte di Rialto, un informatico con lunga esperienza negli USA, esperto di cloud e tra i pionieri di Amazon web services. Quintarelli, invece, è veronese, discendente di Emilio Salgari e fondatore di I.Net, il primo Internet Service Provider commerciale in Italia orientato al mercato professionale e primo "unicorno" del Paese. È anche l’inventore dello Spid».
Oltre ai compagni di avventura veneti lei che rapporti ha con il Nord Est?
«Quelli professionali sono legati soprattutto al mio passato in Unicredit, quando avevamo un forte nucleo di azionisti come Fondazione Cariverona, Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, Fondazione Cassamarca di Treviso e Fondazione Caritro. Inoltre, con l’operazione Hvb, abbiamo costituito la banca delle regioni, con il Nord Est che era un punto chiave verso le nostre banche in Germania, Austria, Croazia, Cechia, Slovacchia, eccetera. Oggi a Nord Est vengo meno, ma è sempre nel mio cuore, una terra di grande bellezza e grandi prospettive».
In qualche modo per lei si tratta di un ritorno alla finanza dopo la lunga esperienza in Leonardo.
«Sotto un certo aspetto sì, ma in realtà qui uso di più le mie competenze di manager che ha vissuto esperienze nel campo dell’innovazione e della tecnologia, che possono modificare l’approccio al business di un’azienda. Infatti, investiamo in aziende che già esistono, sia pure all’inizio del loro percorso, e le aiutiamo a scoprire come la tecnologia digitale può aiutarle a modificare il loro modo di fare industria».
A proposito di finanza, alla recente assemblea degli agenti Generali ha sottolineato la crescente difficoltà delle banche ad erogare credito e quindi la necessità di avvicinare anche il mondo retail ai private asset. Perché e con quali vantaggi?
«Perché le banche sono ormai costrette dalle normative europee a fare accantonamenti per ogni credito concesso che non abbia un collaterale e sono poco incentivate ad esporsi verso investimenti considerati “rischiosi” nell’economia della conoscenza. Mentre privati e piccole aziende alla ricerca di rendimenti potrebbero, attraverso intermediari che li garantiscano, avvicinarsi al Private Debt e al Private Credit attraverso strumenti collettivi di investimento».
In proposito lei ha affermato che sei milioni di persone in Italia sono senza sportelli bancari e che quindi si dovrebbe trovare il modo di proporre loro prodotti finanziari e assicurativi.
«Non tutto è risolto dalla tecnologia informatica e ci sono momenti in cui la relazione diretta è fondamentale, dai prestiti alle gestioni attive. Nei paesi e nelle zone rimaste senza sportelli bancari credo che soggetti come le poste e gli agenti potrebbero avere un ruolo – grazie al rapporto fiduciario e alla conoscenza del mercato - proponendo fondi, gestioni finanziarie, prodotti bancari e assicurativi».
Per chiudere, lei sostiene che l'Europa dovrebbe dotarsi di una difesa comune per diventare un vero soggetto politico. La vede come una necessità urgente?
«Direi proprio di sì. Senza difesa comune l’Europa non può essere un soggetto geopolitico di peso. Inoltre, in assenza di programmi comuni si continua a investire male, dal momento che ci sono tante piattaforme diverse e, ad esempio, diversi tipi di carri armati. Ma la difesa passa anche attraverso l’uso della tecnologia e, come già si vede, anche l’intelligenza artificiale può aiutare a difendere infrastrutture o sviluppare droni ed elicotteri».
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