Tra banche e autostrade, l’interventismo del governo che frena la concorrenza
Dalle concessioni della A22 e della A4 alle manovre su Generali fino alle dighe idroelettriche. Ma Bruxelles e Antitrust avvertono: senza effettuare gare il rischio è perpetuare rendite

Autostrade, banche, assicurazioni, distribuzione del gas, idroelettrico. Sono i settori dell’economia nazionale sui quali il governo Meloni ha scelto di esercitare un interventismo sempre più deciso, ridefinendo il rapporto tra Stato e mercato e in alcuni casi imponendo una presenza pubblica che non si vedeva da decenni.
Dalle concessioni delle autostrade A22 del Brennero e della A4 Brescia-Padova alla vigilanza sulle grandi manovre del sistema finanziario, passando per il dossier delicatissimo delle concessioni idroelettriche, l’esecutivo sta rimodellando interi comparti perché considerati strategici per la sicurezza economica del Paese.
Una scelta politica che punta a rafforzare il controllo pubblico sugli asset fondamentali, ma che apre interrogativi sul fronte della concorrenza e dei rapporti con l’Unione europea.
La battaglia sulle autostrade
Nel settore autostradale il nuovo interventismo è particolarmente evidente. Le concessioni della A22 e della A4, la prima scaduta da anni e la seconda ormai prossima alla scadenza, si muovono in un limbo normativo fatto di rinvii, proroghe e ipotesi di affidamento diretto che hanno già attirato l’attenzione di Bruxelles.
Secondo l’Istituto Bruno Leoni, l’Italia continua a rinviare le gare pubbliche - l’unico strumento in grado di garantire trasparenza ed efficienza in un settore che per natura è un monopolio - nonostante gli impegni assunti nel Pnrr.
La sospensione della gara dell’A22 e il dibattito sull’assegnazione in house dell’A4 mostrano una volontà che, nei fatti, fatica a tradurre in pratica la concorrenza “per il mercato”. In questo quadro, l’istituzione di Autostrade dello Stato, società interamente pubblica controllata dal Ministero dell’Economia, rappresenta per l’IBL un segnale di possibile «nazionalizzazione di fatto del settore», che potrebbe alterare la contendibilità delle tratte e generare nuovi attriti con l’Ue.
«L’istituzione di AdS», scrivono Serena Sileoni e Carlo Stagnaro, «non solo appare contraddittoria rispetto ai principi generali in materia di aggiudicazione, ma anche al divieto di aiuti di Stato. Se l’autorità politica vorrà, AdS potrà diventare un attore in grado di alterare significativamente le dinamiche competitive nel settore autostradale».
Tra banche e assicurazioni
Lo schema si è in qualche modo ripetuto anche nel settore finanziario. Il governo ha fatto ricorso in modo crescente al Golden Power, utilizzandolo non solo per proteggere asset sensibili, ma per orientare anche operazioni complesse come la contesa UniCredit-Banco Bpm.
Anche il dossier che ha visto la conquista di Mediobanca da parte del Monte dei Paschi di Siena è stata interpretata come parte di una strategia volta a riportare sotto controllo pubblico (al momento dell’Ops su Piazzetta Cuccia il Mef era primo azionista di Rocca Salimbeni) - o sotto il controllo di gruppi di potere considerati amici -i punti nevralgici del sistema bancario-assicurativo italiano.
Lo snodo finale di questa operazione è infatti a Trieste dove oggi il primo azionista di Generali è diventato il Monte dei Paschi con oltre il 13%. E ormai non è più un mistero che a Palazzo Chigi considerino il Leone una «cassaforte del risparmio nazionale» da tenere al guinzaglio di salde mani italiane.
La sfida sull’idroelettrico
Il terzo fronte riguarda le concessioni idroelettriche, su cui recentemente l’Antitrust ha assunto una posizione durissima. In audizione alla Camera, il segretario generale Guido Stazi ha ricordato che l’Italia ha assunto con Bruxelles l’impegno a superare il regime delle proroghe e ad adottare gare trasparenti per impianti che producono il 15% dell’energia nazionale e rappresentano la prima fonte rinnovabile. Gli invasi e le dighe sono beni non replicabili e, secondo l’Antitrust, proprio per questo la gara è l’unico strumento coerente con i principi europei. «La proroga delle concessioni», ha avvertito Stazi, «perpetua rendite di posizione, scoraggia investimenti, rallenta l’ammodernamento di impianti spesso risalenti e rischia di minare la transizione energetica».
A Nord Est il tema è diventato anche politico in seguito alle affermazioni del presidente di Agsm Aim, Federico Testa, sul «monopolio» di Enel nel settore e ha riportato al centro della scena un dato impressionante: 800 milioni l’anno di margine operativo generati dalle dighe e dalla distribuzione. Il presidente dell’Anci Veneto, Mario Conte, ha chiesto maggiore autonomia nella gestione della ricchezza idroelettrica locale, ricordando il peso crescente delle bollette sui bilanci comunali. Considerati insieme, questi dossier mostrano un quadro chiaro: il governo interpreta gli asset strategici come leve da presidiare direttamente, anche a costo di attriti con Bruxelles e tensioni competitive. Lasciando sullo sfondo una domanda cruciale: questo interventismo rafforzerà davvero il sistema Paese o rischia di sostituire vecchie rigidità con nuove forme di controllo che scoraggiano investimenti, innovazione e concorrenza?
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