Sammontana Italia punta al raddoppio dei ricavi. «Più gelati negli Stati Uniti»

Alessandro Angelon, alla guida del gruppo nato dall’unione con Forno d’Asolo: «Espansione all’estero»

Maurizio Caiaffa

 

La missione di Sammontana Italia è chiara: espandersi in primis negli Stati Uniti con un investimento da 30-50 milioni per rafforzare lo stabilimento in New Jersey portato in dote da Forno d’Asolo. Poi crescere, attraverso crescita organica e acquisizioni mirate, nella pasticceria surgelata soprattutto per l’Horeca, con focus anche su Francia e sui mercati di lingua tedesca. Il nuovo gruppo punta sulla crescita all’estero. Anche perché in Italia la strada è bloccata per motivi di antitrust: è del febbraio scorso la cessione della milanese Lizzi (prodotti da forno dolci e salati, parte del gruppo Forno d’Asolo dal 2019) alla multinazionale Vandemmoortele, avvenuta proprio in conseguenza delle direttive dell’Authority.

A quasi un anno dal via all’aggregazione fra Sammontana e Forno d’Asolo – operazione targata anche Investindustrial per creare un campione nazionale che nel 2024 ha realizzato un fatturato aggregato intorno ai 950 milioni con un 16-18% di margine – l’amministratore delegato Alessandro Angelon è in grado di fare il punto e di ribadire i contenuti del piano industriale di Sammontana Italia: «Al 2029 – conferma nello stabilimento di Maser di Forno d’Asolo – vogliamo arrivare al raddoppio dei ricavi, diciamo 1,8-2 miliardi, con una marginalità superiore al 18% da raggiungere con sinergie e ottimizzazioni più che attraverso il taglio dei costi. La Borsa? A fine piano è una possibilità, anche perché garantirebbe l’exit di Investindustrial, in ogni caso la famiglia Bagnoli, che ha creato Sammontana e i suoi “gelati all’italiana”, di sicuro resterà al timone».

A proposito di made in Italy Alessandro Angelon – 65 anni, mestrino con trascorsi in Benetton Group, nelle austriache Pago (succhi di frutta) e Red Bull (bevande energetiche), poi amministratore delegato in Ligabue, infine in Forno d’Asolo con la stessa carica – dice di credere molto nel «fare impresa all’italiana». Ma cosa si può intendere con questa espressione? «È uno stile particolare – risponde il manager – Meno tecnocratico, mettendoci più passione, più empatia, coniugando la flessibilità con il controllo di gestione».

Di certo negli anni Angelon ha dimostrato proprio con Forno d’Asolo di saperci fare. A cominciare dal 2014, quando il manager, insieme a un gruppo di fondi guidato da 21 Investimenti di Alessandro Benetton acquistò dai fratelli Gallina quella che allora era una piccola azienda familiare nata da un panificio: «La famiglia – racconta Angelon – aveva costruito una rete di distributori di prodotti da forno surgelati portandola a 70 milioni di ricavi, undici distributori e 120 agenti. L’idea di business funzionava: “produco e distribuisco saltando l’ingrosso”. Ecco perché con 21 Investimenti decidemmo di investire e nel 2018, quando i fondi vollero uscire, eravamo a 140 milioni di ricavi, una buona redditività, 30 piattaforme distributive e 330 aziende. Facemmo anche una piccola acquisizione, il laboratorio jesolano di pasticceria La Donatella. In pratica avevamo più raddoppiato rispetto al 2014 attraverso un’espansione sul territorio nazionale».

A questo punto inizia la seconda fase dell’azienda. Manifesta interesse a rilevare la maggioranza (una piccola quota è sempre rimasta in capo al management) una decina di fondi e la spunta l’inglese Bc Partners: «In cinque anni – racconta ancora Angelon – portammo il fatturato a 300 milioni attraverso una piano serrato di acquisizioni sia di grossisti che di industrie dolciarie, da La Rotonda a Lizzi fino a Bindi, che da sola faceva 140 milioni di ricavi e da trent’anni controllava uno stabilimento a Totowa, nel New Jersey. Insomma nel 2020 eravamo a oltre 400 milioni di ricavi e a quel punto con la pandemia si fermò tutto per un paio d’anni». Alla ripresa post Covid riprende la spinta a crescere: Forno d’Asolo compra due distributori in Francia e Germania e soprattutto, nel 2022, la produttrice francese di pasticceria Gelpat Tradition.

Arriva a questo punto, siamo nel 2023-2024, l’exit del fondo Bc Partners: Forno d’Asolo fattura circa 460 milioni e si dichiarano interessati più di dieci fondi: «C’era però un problema di giusto prezzo – spiega Angelon – era una fase di tassi alti, un ostacolo per il private equity. Ecco perché iniziammo a cercare un compratore fra i concorrenti. L’interesse c’era, ma soltanto di possibili compratori esteri e noi manager eravamo riluttanti all’idea di vendere Forno d’Asolo a un concorrente estero. Ecco perché mi è venuta l’idea di chiamare Leonardo Bagnoli e di proporgli questa grande aggregazione: il gruppo Sammontana, giunto alla quarta generazione, allora arrivava a 470 milioni, una decina più di Forno d’Asolo. Così è iniziato il percorso che ha portato a Sammontana Italia, che deve molto anche all’impegno di Investindustrial, private equity che ha un approccio industriale con il fine, non solo con noi, di creare in vari settori poli manifatturieri nazionali».

Ora il 56% di Sammontana Italia – 2 mila dipendenti e l’obiettivo della certificazione BCorp per capogruppo e controllate – è in mano alla famiglia Bagnoli, il 42% a Investindustrial e il 2% a un gruppo di manager fra cui lo stesso Angelon. Tutti pronti, quindi, all’espansione all’estero, in primis nel Nord America: l’80% delle vendite adesso sono in Italia, a fine piano l’estero dovrebbe raggiungere il 40%. È del marzo scorso l’acquisizione della canadese La Rocca Creative Cakes di Toronto (torte surgelate, ricavi di 70 milioni di dollari canadesi, che equivalgono a circa 50 milioni di euro). E sul piatto c’è il raddoppio dello stabilimento statunitense Bindi in New Jersey per produrre gelati: «Ci ispiriamo al Pastificio Rana, è un modello da imitare. Se è una risposta ai dazi di Trump? In effetti i gelati sono fra i prodotti penalizzati, però il nostro progetto è precedente».

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