«La qualità è l’arma per competere, il Nord Est è solido»

Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo: «Ci aspettiamo una ripresa nel 2026, sarà cruciale una maggiore spinta del mercato interno e degli investimenti»

Piercarlo Fiumanò
Addetti al lavoro nello stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari, dove si producono droni
Addetti al lavoro nello stabilimento Leonardo di Ronchi dei Legionari, dove si producono droni

L’economia mondiale sembra avere evitato il peggio dopo i timori seguiti alle misure del Liberation Day annunciate da Trump.

In quale misura le nostre imprese manifatturiere, in Italia e a Nord Est oggi risentono e potranno risentire dei dazi Usa? Gregorio De Felice, capo economista e responsabile della direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, sottolinea che «è ancora presto per capire gli effetti dei nuovi dazi. Gli Usa pesano per il 10,4% sul nostro export nazionale, 9,1% per il Veneto, 9,3% Trentino-Alto Adige e 12,2% Friuli-Venezia Giulia. In molti settori il posizionamento nella fascia alta della gamma sarà fondamentale per mantenere le nostre quote di mercato».

La tempesta però non è finita. L’ultimo caso ha riguardato i produttori italiani di pasta. Il mercato statunitense rappresenta il secondo mercato per l’esportazione della pasta italiana. La situazione comincia a diventare pesante?

«Se il provvedimento dovesse davvero entrare in vigore a partire dal 1° gennaio 2026, il dazio aggiuntivo anti-dumping del 91,7%, porterebbe il dazio sulla pasta al 107%. È quindi assolutamente necessario una trattativa serrata tra governo italiano e statunitense, con un forte supporto dell’Ue. Bisogna difendere la filiera di uno dei prodotti più identitari della nostra tradizione».

Intanto la Cina continua a inondare i nostri mercati di prodotti a basso costo. Come devono reagire i nostri produttori?

«Anche in questo caso, come per i dazi, la qualità risulta l’elemento chiave per rispondere alla pressione competitiva cinese. L’Italia secondo l’ultimo Rapporto analisi dei settori Industriali del Research Dpt di Intesa Sanpaolo denota una crescita lenta ma resiliente».

Come sta reagendo il sistema industriale e quali sono i settori in crescita?

«Il sistema produttivo italiano ha saputo reagire positivamente già a tanti precedenti shock. Ci aspettiamo una ripresa nel 2026, sostenuta dal miglioramento atteso della domanda Ue. Cruciale sarà la maggiore spinta del mercato interno, in particolare gli investimenti, necessari per aumentare competitività e sostenibilità. I settori con le migliori prospettive saranno quelli legati alla doppia transizione, come l’elettrotecnica, la meccanica, l’elettronica. Si confermeranno più dinamici anche l’alimentare e le bevande, la farmaceutica e il largo consumo, in particolare la cosmesi, dove siamo molto competitivi».

Nel nostro Paese non mancano però i problemi, a cominciare dai redditi che non crescono da anni. Che cosa ne pensa?

«Ad inizio 2025 i salari reali erano da noi inferiori del 7,5% rispetto al 2021. È il calo più significativo tra tutti i principali paesi Ocse. Quest’anno i salari nominali saliranno del 2,6%, e nel 2026 del 2,2%, leggermente più dell’inflazione. Rimane però il punto delle basse retribuzioni. Data la eterogeneità dei risultati aziendali, bisognerebbe procedere con la contrattazione di secondo livello per migliorare il potere di acquisto di quei lavoratori impiegati in aziende con buoni margini di profitto».

Quale sarà l’impatto a suo avviso sul mercato del lavoro in Italia, in seguito all’adozione su larga scala delle applicazioni dell’intelligenza artificiale?

«La corsa agli investimenti in AI è evidente, sebbene siano solo l’8% le imprese italiane con soluzioni già implementate. L’impatto sull’occupazione potrà essere rilevante, soprattutto per le professioni impiegatizie e i lavori più ripetitivi. Verranno però creati nuovi lavori, soprattutto nelle professioni digitali. Difficile fare stime sul saldo ma sicuramente l’AI rappresenterà un asset chiave per contrastare l’effetto dell’invecchiamento della popolazione e del calo demografico».

Come valuta nel complesso la capacità di reazione del sistema industriale del Nord Est nell’attuale difficile scenario geopolitico?

«Il sistema industriale del Nord Est mostra segnali di resilienza, potendo contare sulla forza delle sue filiere di prossimità che garantiscono qualità, personalizzazione, flessibilità e time-to-market. Le evidenze in nostro possesso mostrano una buona capacità di reazione del Nord Est che, forte di un elevato grado di internazionalizzazione, sta puntando sulla ricerca di nuove opportunità di crescita in mercati ad alto potenziale, come ad esempio Messico, Emirati Arabi Uniti, Repubblica Dominicana e Malesia».

Il Nord Est oggi è ancora competitivo, oppure sta perdendo terreno?

«Il quadro è piuttosto eterogeneo. Filiera del turismo, sanità e assistenza, servizi avanzati, utilities, trasporti e logistica insieme ad alcuni settori manifatturieri come meccanica, elettrotecnica, agroalimentare, continuano a crescere, forti della presenza di eccellenze industriali con alta specializzazione e tecnologia. Moda e automotive sono più in difficoltà a causa di condizioni di domanda penalizzanti. La competitività può essere mantenuta elevata attraverso l’innovazione: il Friuli Venezia Giulia è in testa alla classifica regionale per numero di brevetti depositati all’Epo per milione di abitanti (168,2), il Veneto (115,3) si colloca in quarta posizione dopo Emilia-Romagna e Lombardia».

Crisi geopolitiche e guerre stanno aumentando il peso dell’industria della difesa e dell’aerospazio richiedendo molti investimenti pubblici. Che ruolo può giocare l’Italia rispetto all’asse franco-tedesco?

«L’Italia ha un ruolo importante nella Space Economy, destinata a crescere anche per le significative ricadute in ambito civile. Siamo il sesto Paese sia per esportazione di beni legati all’aerospazio che in termini di brevetti in queste tecnologie, anche grazie ad una filiera diversificata, in termini settoriali e dimensionali. Da sottolineare poi la forte crescita delle spese italiane di ricerca e sviluppo in questo campo da parte di imprese e programmi governativi».

Sul fronte europeo le difficoltà di Emmanuel Macron e della Francia possono provocare un contagio?

«La situazione della finanza pubblica francese resta complessa e richiede un aggiustamento di bilancio e una riforma delle pensioni che i vari governi non sono riusciti a varare per mancanza di maggioranza parlamentare. Non vedo rischi di contagio sull’Italia, dato il buon andamento dei conti pubblici certificato da alcuni upgrade da parte delle agenzie di rating e dai continui acquisti di Btp da parte degli investitori internazionali, pari a (86 miliardi netti nel solo primo semestre 2025».

Nel complesso perché l’economia europea non riesce a rilanciare la crescita?

«La governance europea è molto complessa e i tempi decisionali lunghi, nonostante il contesto economico sia diventato più volatile. Prendiamo l’esempio del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) da 2000 miliardi per il periodo 2028–2034. È stato presentato il 16 luglio dalla Commissione, ma difficilmente verrà approvato dal parlamento europeo e poi dal Consiglio europeo (all’unanimità) prima della primavera del prossimo anno». —

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