Immobiliare, lusso e hospitality: l’impero del giovane Del Vecchio

Leonardo Maria, l’unico tra i figli con un ruolo operativo nel gigante di Agordo, aumenta gli investimenti della sua holding. Nel patrimonio il Twiga, la Fiuggi, ristoranti a Brera, cinema e industria

Roberta Paolini

Ristoranti a Brera, residenziale di lusso a Milano, hard seltzer, cataloghi cinematografici, investimenti hi tech, acque minerali e hospitality, manifattura. Ora un tentata incursione, per il momento respinta, anche nell'editoria, sul dossier Gedi, holding del quotidiani La Repubblica, controparte la Exor di John Elkann.

Leonardo Maria Del Vecchio, quartogenito del geniale fondatore di Luxottica, prova a trasformare il cognome ( e il nome) più ingombrante del capitalismo italiano in un portafoglio personale in rapido movimento, mentre la successione del padre è ancora un cantiere aperto.

Non deve essere semplice tenersi addosso un tale fardello anagrafico, considerando che Del Vecchio ha lasciato un’eredità che pesa molto di più dei miliardi custoditi nella holding di famiglia Delfin. Ha lasciato un’idea di industria, un capitalismo coraggioso, a tratti aggressivo, migliaia di posti di lavoro, la volontà di essere, e di diventare, il migliore in quello che faceva. C’è riuscito, diventando in vita il numero uno.

Leonardo Maria Del Vecchio è l’unico dei fratelli ad avere un ruolo operativo nel gruppo di famiglia: in EssilorLuxottica è Chief Strategy Officer e presidente di Ray-Ban. Parallelamente, ha trasformato il proprio family office in un veicolo di investimento che assomiglia sempre meno a una cassaforte e sempre più a una piattaforma industriale. La sua fortuna personale, agganciata al 12,5% di Delfin, la holding lussemburghese condivisa con gli altri eredi che controlla le partecipazioni di riferimento in Essilux, Mps, Generali, UniCredit e Covivio, è stimata in 6,4 miliardi di euro. Ma il capitale non viene solo custodito: viene messo a leva.

In tutto, la sua holding Lmdv Capital conta oggi 21 società controllate o partecipate. Sotto le ramificazioni producono un reticolo composito di altre società controllate, collegate, partecipate.

Il bilancio 2024 della società con sede in via Montenapoleone a Milano certifica nell’ultimo anno un salto di scala. L’attivo supera i 516 milioni di euro, le immobilizzazioni finanziarie volano a 440,4 milioni e il patrimonio netto passa in dodici mesi da 4,6 a 156,4 milioni di euro, grazie anche all’iscrizione di una consistente riserva da rivalutazione partecipazioni, pari a 146,7 milioni. Nel corso dell’esercizio la società ha effettuato un aumento di capitale a pagamento per 151,7 milioni di euro, affiancato da versamenti in conto capitale per altri circa 8 milioni. Sul fronte economico, i ricavi salgono a 22,8 milioni (contro 4,8 milioni l’anno precedente), l’ebitda torna in territorio positivo a 5 milioni e il risultato netto chiude con un utile, seppur limitato, di 31.917 euro, dopo le perdite del 2023. È però lo stesso bilancio a ricordare che il miglioramento è dovuto in larga misura alla forte variazione delle rimanenze – 44,1 milioni – e ai proventi finanziari (circa 2,1 milioni).

La crescita del portafoglio è stata accompagnata da una trasformazione profonda della struttura finanziaria. I debiti verso banche raggiungono i 178,45 milioni di euro, 150 dei quali a medio-lungo termine. I debiti verso soci ammontano a 177,55 milioni. Nel complesso, l’indebitamento lordo (comprese le risorse immesse dallo stello Leonardo Maria) si attesta intorno ai 358 milioni. L’indebitamento al netto di 26 milioni di liquidità va invece a 151 milioni.

Su questo impianto, nel 2025 si è innestata una nuova operazione di finanza bancaria. Lmdv Capital ha ottenuto da Indosuez Wealth Management, brand dedicata alla gestione dei grandi patrimoni personali del gruppo Crédit Agricole, una linea di credito da 350 milioni. I prestiti sostituiranno altre linee esistenti e serviranno a sostenere investimenti selettivi nei settori industriali e immobiliari, valorizzando il portafoglio e sviluppando nuove iniziative. Per rendere più “bancabile” il veicolo, nei mesi scorsi l’assemblea del family office ha modificato l’articolo 12 dello statuto, neutralizzando le restrizioni al passaggio delle partecipazioni in caso di pegno a garanzia di finanziamenti. Lmdv è infatti al 100% in pegno alla società del Credit.

Dentro questo perimetro contabile, la geografia degli investimenti è sempre più riconoscibile. Alla voce ristorazione e hospitality si concentrano alcuni dei dossier più visibili: i ristoranti e locali in Brera, custoditi nel veicolo Triple Sea Food, piattaforme immobiliari come Turati Club, Smeraldo, Garibaldi 22, , fino al progetto di un polo Lmdv Hospitality che ruota attorno al marchio Twiga. L’acquisizione dal gruppo Majestas di Flavio Briatore riguarda il brand e quattro location chiave – Forte dei Marmi, Montecarlo, Baia Beniamin e lo storico immobile del Billionaire a Porto Cervo.

È il tassello centrale di una strategia che punta a costruire un campione italiano del fine dining e del luxury beach club con vocazione internazionale, incrociando Versilia, Liguria, Costa Azzurra e Costa Smeralda. Accanto all’hospitality, il mattone resta un asse strutturale. Attraverso società come Turati Club e Smeraldo, la holding ha investito nell’ordine di alcune decine di milioni nell’immobiliare residenziale di pregio a Milano, con l’obiettivo di sviluppare circa 7.000 metri quadrati di soluzioni di lusso. È un real estate funzionale al posizionamento complessivo: residenziale alto di gamma, ristorazione, locali e club in un unico ecosistema urbano.

Sul fronte drink e food, il portafoglio mette insieme operazioni come Boem, hard seltzer a basso contenuto alcolico nata con i rapper Fedez e Lazza, ora ricapitalizzata e per intero nelle mani di Lmdv Capital. Più tradizionale, ma altrettanto ambiziosa, è l’operazione Acqua e Terme di Fiuggi. Il piano strategico 2025-2028 prevede oltre 40 milioni di investimenti, di cui 15 milioni già spesi in otto mesi per il completo rinnovamento dello stabilimento; l’obiettivo è triplicare i volumi, con un riposizionamento nel segmento lusso e un focus sull’export verso Nord America e Medio Oriente.

L’innovazione passa anche da altri canali. Il family office guarda al fintech, ai materiali avanzati come il grafene e ai contenuti media. In questo campo si inserisce la partecipazione in Leone Film Group e la joint venture costruita attraverso Vice Pictures.

Intorno a questo perimetro societario, la partita più delicata resta però quella della successione. Ieri in una lunga intervista a Il Sole 24 Ore ha risposto: «Questa estate eravamo molto vicini all’accordo. Ma alla fine è saltato tutto perché lo statuto di Delfin impone l’unanimità. La chiusura è solo una questione di tempo. C’è voglia di chiudere».

Riproduzione riservata © il Nord Est