Finest studia nuove rotte: «I mercati sono cambiati, allarghiamo ad altri Paesi»

Il presidente Luca Di Benedetto punta ad ampliare le aree d’intervento della finanziaria pubblica

Maura Delle Case

 

Nuovo impulso alla rete commerciale, rafforzamento delle sinergie con Friulia e ampliamento della geografia dei mercati verso i quali accompagnare l’internazionalizzazione delle imprese trivenete. Sono questi i tre pilastri della strategia che Luca Di Benedetto, neo presidente di Finest spa, intende perseguire nel suo mandato triennale alla guida della finanziaria per l’internazionalizzazione del Nord Est italiano.

Nominato a luglio, contestualmente al rinnovo del consiglio di amministrazione della società – partecipata da Friulia, Veneto Sviluppo, Simest e Provincia autonoma di Trento –, Di Benedetto si è messo al lavoro con l’obiettivo di arrivare all’approvazione del nuovo piano industriale entro ottobre, forte di numerose esperienze manageriali in ambito sia pubblico che privato, nel settore dell’internazionalizzazione d’impresa e in molteplici ambiti industriali.

Presidente, a tre mesi dall’insediamento, qual è la sua prima impressione su Finest?

«Quella di una realtà solida, profondamente radicata nel territorio e specializzata da oltre trent’anni in operazioni di finanza straordinaria volte a rafforzare la competitività e la presenza delle imprese del Triveneto sui mercati internazionali. In un sistema produttivo come il Nord Est, fortemente orientato all’export, è evidente che la società che sono chiamato a rappresentare e guidare nel prossimo triennio, assieme al consiglio di amministrazione, costituisca un asset strategico non solo per le imprese territoriali ma anche per le istituzioni. Sono persuaso che vi sia ampio margine per valorizzare ulteriormente gli strumenti e l’elevato know-how acquisito sui mercati esteri, specialmente in questo contesto storico complesso».

Come?

«Anzitutto intendo rafforzare il ruolo di Finest come catalizzatore di crescita per l’intero tessuto produttivo del Triveneto, anzitutto attraverso un nuovo impulso alla rete commerciale interna. Il Nord Est è costellato di realtà economiche, con oltre 625 mila imprese attive, di cui 30 mila esportatrici. È un bacino ampio su cui lavorare e il nostro obbiettivo è dare loro massima visibilità sulle opportunità di sviluppo, oltre che il necessario sostegno finanziario, al fine di assolvere pienamente alla nostra mission di motore di crescita economica del territorio.

Poi dovremo andare a rivedere la geografia dei Paesi di riferimento perché oggi ci troviamo davanti ad uno scenario profondamente cambiato rispetto alla globalizzazione iper-liberale dei primi anni Novanta, in cui Finest era stata pensata. Allora i Paesi target erano l’Europa centrale e balcanica, l’ex Unione Sovietica e l’Austria ai quali, nel 2014, con la prima modifica alla legge 19/1991 (istitutiva della Finanziaria), si erano aggiunti i Paesi del Mediterraneo. Ora bisogna fare un passo oltre perché numerosi Paesi in cui operiamo sono entrati nell’Unione Europea o si trovano in fase di adesione, con una conseguente alterazione delle condizioni di mercato iniziali, che in alcuni casi ne hanno ridotto l’attrattività o li hanno resi meno competitivi. Sono inoltre evoluti i modelli di internazionalizzazione, la geografia delle catene globali del valore, le materie prime strategiche e gli stessi settori su cui si gioca la competizione mondiale, in particolare quelli high tech e dei beni intangibili».

A quali Paesi vi orienterete?

«Potrei rispondere Stati Uniti, Cina, India, in generale i Paesi che sono cresciuti di più e che oggi hanno maggiore attrattività, ma dirlo è prematuro. Quel che è certo è che le politiche protezionistiche e di reshoring promosse dalle grandi potenze mondiali, Cina e Stati Uniti in primis, che mirano ad attrarre produzioni e a contrastare la dipendenza da fornitori esteri, avrà ripercussioni sulle esportazioni di beni e servizi per le nostre Pmi attive nell’export. È da qui che dobbiamo partire per ripensare non tanto la mission di Finest, che resta attualissima, ma gli strumenti e i Paesi di riferimento, pur restando quelli storici, dai Balcani al Nord Africa, importanti aree di atterraggio per le nostre imprese. A questo proposito ho commissionato uno studio e spero nel giro di qualche mese di avere le idee più chiare. Dopodiché ci vorrà una modifica normativa».

A dispetto del periodo di forte incertezza, Finest sta per archiviare un anno record.

«In questo momento abbiamo 61 aziende socie e un portafoglio di 106 milioni di euro che vede la Serbia – con oltre 18 milioni allocati – al secondo posto dopo la Francia (20 milioni), oltre agli investimenti presenti in Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina e ai numerosi progetti in pipeline o in fase di erogazione nel 2025. Dalla sua nascita, 34 anni fa, Finest ha realizzato operazioni in 44 Paesi del mondo per 470 milioni che hanno generato investimenti per 2,4 miliardi».

Tra gli obiettivi c’è anche quello del maggior coinvolgimento delle Pmi. Come?

«Per favorire la crescita di queste realtà, che intercettiamo ancora poco ma che sono la maggioranza nel nostro ecosistema, generalmente ancora a conduzione familiare e scarsamente patrimonializzate, ritengo sarà sufficiente potenziare le sinergie con gli altri attori del Sistema Italia e con le finanziarie regionali, a partire dalla capogruppo Friulia, che riveste un ruolo vitale per l’economia del territorio, supportando le Pmi nel consolidamento e patrimonializzazione, nella crescita manageriale e nei passaggi critici come quelli generazionali. Lavorare in sinergia significa fornire un sostegno integrato: consolidare la base locale delle imprese e accompagnarle nell’espansione all’estero, fornendole capacità finanziaria e know how. Per le Pmi, l’internazionalizzazione non si limita all’acquisizione di nuovi mercati: è un veicolo per accrescere le proprie capacità innovative e colmare eventuali gap strutturali, rafforzando la competitività complessiva del Triveneto».

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