Doris fra luci e ombre «Rimbalzo in estate ma le aziende rischiano l’asfissia come i sub»

PADOVA. «Sarà la crisi più profonda del dopoguerra. I governi devono lavorare puntando sulla durata più breve possibile o le imprese andranno in asfissia, come un sub». Immagine forte. Ma Ennio Doris non smentisce la fama del suo sorriso sempre accompagnato alle parole e aggiunge: «Resto ottimista e scommetto sul fatto che in estate le fabbriche riprenderanno a pieno regime, come sta accadendo in Cina, con il seguito di un formidabile rimbalzo della produzione e dei consumi, e a seguire dei valori finanziari».
Il presidente e fondatore di Mediolanum non smentisce se stesso nemmeno alle prese con «la più impressionante e repentina rivoluzione vissuta», tale da portare negli uffici milanesi le presenze da 2.700 e 200 persone, in quelli spagnoli da 300 a cinque. «Lo chiamano smart working, non sarà una esperienza che si ferma alle prossime settimane. Gli scossoni del sisma ribaltano le architetture organizzative tradizionali, così come gli schemi dei bilanci pubblici».
Ma un uomo di finanza come lei, di dichiarata ispirazione liberale, come valuta le tesi esposte da Mario Draghi?
«Le sposo al 100% e sottolineo che il fattore tempo è determinante. Siamo dentro a una vera e propria guerra. E dunque è inevitabile che in guerra lo Stato faccia tutta la sua parte. Parlo da liberale: lo Stato deve tutelare l’impresa privata e deve prevedere interventi molto forti, i più potenti mai visti».
Sta sostenendo che la manovra impostata dal governo Conte per 50 miliardi di euro complessivi non è sufficiente?
«Se la Spagna destina all’argine 4-5 volte, vi pare mai possibile che per noi possano bastare 50 miliardi? Il primo provvedimento della Germania consiste in 450 miliardi da prestare alle imprese. Con chiarezza il tema degli aiuti di Stato non esiste più, tanto che la Francia è pronta a nazionalizzare. Idem la Spagna. Siamo noi che tentenniamo».
Ma dal suo punto di vista qual è l’iniziativa più urgente che lo Stato deve assumere?
«La garanzia di Stato è indispensabile per i debiti delle imprese. Che un paese come gli Stati Uniti, e che lo proponga un presidente come Trump che personalmente non mi garba granché, arrivi a prendere questa decisione parla della rivoluzione necessaria nei codici di bilancio pubblici. Del resto se l’azienda non incassa nulla per mesi, come può sopravvivere? Il ruolo dello Stato è essenziale per preservare l’impresa come bene sociale, come generatore di benessere e posti di lavoro. Se vogliamo aiutare gli operai, dobbiamo aiutare le imprese».
Ci sono altre misure che secondo lei il governo dovrebbe mettere in campo?
«Inizierei con l’immediata sospensione di ogni pagamento fiscale fino a ottobre. Ribadisco le garanzie per i debiti delle imprese, come ha fatto Germania con la sua Cdp. E poi helicopter money lo chiama Trump il progetto di calare soldi direttamente sui cittadini per evitare che la gente conosca la fame e aiutare chi perde il lavoro o non incassa più nulla».
L’Italia è nelle condizioni di assumere il debito conseguente alla manovra “monstre” che lei sta evocando?
«Molto dipende ovviamente dalla fiducia dei mercati. Avendo noi un debito già elevato, abbiamo assoluto bisogno di solidarietà in sede europea. Che poi si chiami covid bond oppure intervenga la garanzia della Bce sull’acquisto di titoli italiani, conta la misura. Credo che l’Italia comunque possa uscire da questa burrasca, ma i costi cambieranno assai in funzione dell’aiuto o meno dell’Unione europea».
Non la spaventa che il debito possa crescere a dismisura magari al 200%?
«Il Giappone convive con un debito anche superiore. Basta che ci sia la fiducia dei mercati. Ma occorre che il Paese Italia indichi oggi una chiara direzione di rotta. E in questo senso aderisco alla proposta del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, per una Costituente italiana che ridefinisca in radice il patto tra i cittadini».
Ma se lei fosse un cittadino del Nord Europa sarebbe favorevole a sostenere l’Italia?
«Noi abbiamo una colpa grave, poiché gli ultimi governi hanno fatto solo leggi di spesa. Ma questo è il momento in cui la gente tocca con mano il senso dell’Unione: a mio avviso non è nell’interesse nemmeno dei Paesi del Nord giocare allo sfascio poiché dare spago ai movimenti sovranisti finiremmo all’impazzimento».
Quale evoluzione si aspetta quanto ai mercati finanziari?
«Comincerei osservando che siamo in presenza di una crisi economica di gravità senza precedenti, la prima che viene totalmente dal di fuori dell’economia reale. Nel dopoguerra abbiamo vissuto le tre grandi crisi, dello shock petrolifero nel ’73, dell’attentato alle Torri Gemelle, del crack Lehman Brothers. Ma stavolta è tutto diverso. Non sono in questione i fondamentali dell’economia, ma la possibilità di produrre e consumare».
Insisto: cosa si debbono aspettare i risparmiatori dai mercati?
«I mercati hanno già perso un terzo abbondante. Ma sta per arrivare una massa di liquidità mai vista, tra le emissioni americane e della Bce. Dunque il costo del denaro scenderà, così come il costo dell’energia. Ripartiremo con forza. Penso sempre che le crisi contengano grandi opportunità, lo insegna la storia, a chi sa aspettare. E penso che la vera cura dell’economia coinciderà con la scoperta del vaccino o almeno di un medicinale che ne riduca la pericolosità. Ci sono molti indizi sul fatto che il risultato non sia lontano, tant’è che è in atto una corsa pazzesca da parte di tutte le società farmaceutiche e di tutte le società di ricerca. Una partita che ha anche un formidabile valore di business».
Il sistema bancario a suo avviso è attrezzato dinanzi alla crisi generata dal virus?
«Vorrei ricordare che a valle della crisi del 2008 la Germania mise 240 miliardi per salvare le sue banche, la Gran Bretagna 150 miliardi di sterline, gli Stati Uniti 350 miliardi di dollari entrando nel capitale dei maggiori istituti di credito. Tutte le banche italiane all’epoca erano a posto, anche le vituperate popolari venete. Oggi il sistema bancario italiano è ancora più solido, grazie a aumenti di capitale arrivati a 100 miliardi. Preoccupa solo la situazione della Banca popolare di Bari, che andrebbe nazionalizzata per ristabilire la fiducia. Dopo di che è ovvio che le banche risentono dell’economia reale, che dunque va soccorsa con la massima urgenza».—
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