Dal confronto tra imprese, finanza e mondo della ricerca può nascere una nuova fase di crescita per il Nord Est
Nell’analisi di Stefano Micelli gli spunti per un futuro – di sviluppo – delle medie imprese

Le medie imprese della manifattura italiana continuano a rappresentare una risorsa essenziale per l’economia del paese. Il rapporto elaborato dall’Area Studi di Mediobanca, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne ci ricorda che il quarto capitalismo italiano, le circa quattromila imprese comprese fra 50 e 499 addetti a proprietà familiare, sono state il motore di un vigoroso rimbalzo all’indomani dell’emergenza Covid dimostrando, ancora una volta, di saper reagire in modo efficace alle trasformazioni del mercato.
Qualche numero, fra i tanti del rapporto: nel 2022 il fatturato delle medie imprese cresce del 17,1%, l’export del 16,2%. Anche tenendo conto dell’inflazione il rimbalzo è particolarmente positivo per un gruppo di imprese che costituisce il 16% del fatturato della manifattura, il 14% dell’export e il 13% dell’occupazione. I dati confermano la reattività e qualità gestionale di un insieme di imprese che ha saputo saldare al meglio lo spirito imprenditoriale dei distretti e una propensione manageriale rivolta all’internazionalizzazione. Interfacce naturali fra territori e mercato globale, queste imprese costituiscono ancora oggi una delle specificità più interessanti dell’economia italiana.
Il Nord Est è oggi il contenitore principale di queste realtà. I parametri elaborati da Mediobanca indicano che Veneto e Friuli Venezia Giulia sono le regioni dove la media impresa ha trovato il suo habitat naturale. Il dato è incoraggiante anche se, a ben guardare, pone qualche problema.
Il confronto con l’Emilia-Romagna, in particolare, suggerisce cautela. Da tempo l’Emilia-Romagna evidenzia performance economiche migliori rispetto a Veneto e Friuli-Venezia Giulia e per questo colpisce la sua minore dipendenza da questo profilo di manifattura. Le medie imprese, dicono gli analisti, sono meno presenti perché in Emilia-Romagna le dimensioni delle imprese leader sono cresciute negli anni oltre le soglie previste dall’osservatorio (370 milioni e 500 dipendenti), perché molte imprese di successo hanno una proprietà internazionale (si pensi alla Motor Valley), perché una parte della crescita del territorio è oggi riconducibile a settori legati al digitale e alla ricerca di base.
Dipendere in modo esclusivo dalle performance delle medie imprese rischia, insomma, di essere controproducente. La media impresa del quarto capitalismo, ci dice Mediobanca, fa benissimo quello che ha imparato a fare (il 37% dichiara di essere “alto di gamma”) ma fatica ad esplorare al di fuori dello specifico raggio di azione che il mercato le riconosce come “eccellenza”. Un esempio emblematico è l’utilizzo del digitale. La media impresa investe principalmente sull’ottimizzazione dei processi produttivi, sulla robotica e sull’integrazione con l’attività gestionale. L’obiettivo degli investimenti dal 2021 ad oggi, sempre secondo il report , è migliorare l’organizzazione interna dell’impresa (75,9%) e l’ottimizzazione dei processi (56,9%). I rapporti con i soggetti esterni all’impresa così come la vendita e la riorganizzazione dei canali commerciali non costituiscono una priorità: dal 2021 ad oggi solo il 12,5% delle medie imprese ha investito in questa direzione. In un mondo in cui le piattaforme sono diventate il baricentro del capitalismo digitale questa focalizzazione sul perimetro proprietario dell’organizzazione è certamente utile alla competitività della singola impresa ma rischia di non essere sufficiente per la crescita di un ecosistema dinamico a livello di territorio e di filiera.
È difficile sovrastimare i meriti delle imprese manifatturiere: il quarto capitalismo ha consentito al paese di superare la crisi del 2010 e che ha sostenuto in modo significativo il rilancio post pandemia. Quello che oggi appare problematico è puntare solo su un manifatturiero di qualità senza esplorare il potenziale di nuovi ecosistemi capaci di intercettare opportunità di crescita. Per il Nord Est è un passaggio importante perché è proprio sulla qualità di questa esplorazione che si gioca la futura competitività del territorio, la sua capacità di attrarre talenti e investimenti, il suo posizionamento nella divisione internazionale del lavoro.
Come avviare una fase nuova di crescita che riconosca il valore dell’esistente ma che sia capace di intercettare il futuro? A riguardo, non ci sono ricette preconfezionate. La risposta, guardando all’esperienza dell’Emilia-Romagna così come a quella di tante altre regioni europee, non potrà che nascere dal confronto e dalla collaborazione che sapranno avviare imprese, finanza e mondo della ricerca. A Nord Est, questi tre interlocutori si sono parlati poco, per ragioni note e in buona parte comprensibili. È solo da questo dialogo che può nascere una nuova fase di crescita di questo territorio.
(Stefano Micelli è docente di Economia e Gestione delle Imprese all'Università di Venezia, e presidente del corso di laurea in International Management)
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