Confindustria, Riello: "Un'associazione talvolta più matrigna che madre"

Il Nordest diviso, la sfida Boccia-Vacchi, un sistema da riformare perché non basta la Pesenti. Parla Alessandro Riello, ai vertici di Aermec e Assoclima, dopo l'uscita mai definitiva dall'associazione. E prende posizione

VERONA Alessandro Riello, veronese, industriale, classe 1954. Presidente di Assoclima, fondatore nel 1977 di Rpm (azienda produttrice di motori elettrici), ai vertici di Aermec fondata dal padre Giordano e leader nella climatizzazione, ceo della finanziaria Giordano Riello International e di Sierra, azienda del Gruppo per gli scambiatori di calore. Nel 2011 è uscito dall’associazione degli industriali di cui era stato presidente dei Giovani e della territoriale di Verona, definendo la Confindustria «una dea Kalì» dalle mille braccia, insensibile alle necessità dei suoi associati. Un divorzio non definitivo. Oggi, alla vigilia delle scelte di campo per il dopo-Squinzi, fa di nuovo sentire la sua voce.

Presidente, di cosa ha bisogno Confindustria?

«Di una profonda riforma: il sistema è arroccato su vecchi schemi organizzati come un partito politico; manca un filo conduttore unico e ognuno cerca di interpretare in modo diverso le situazioni nel territorio. Serve una forte leadership per fare sistema».

La riforma Pesenti non basta?

«Penso che la Pesenti debba essere uno dei primi capitoli a cui mettere mano perché ha molti limiti e anomalie».

Il Veneto si è spaccato tra Alberto Vacchi e Vincenzo Boccia, nonostante le intenzioni. È solo una vecchia storia che si ripete?

«Non è un difetto limitato agli imprenditori e all’associazione industriali veneti ma un problema profondo che riguarda tutta la regione. Siamo i campioni del particolarismo, portati a esaltare le specificità, per questo incapaci di fare sistema. Un limite esploso pure in Confindustria, anche se una piccola maggioranza esiste in questa corsa: per Boccia abbiamo quattro province schierate (Verona, Vicenza, Rovigo e Venezia, ndr) contro tre. E vanno aggiunte tutte le varie espressioni dei giovani e della piccola impresa».

Quindi Boccia è in una condizione di forza nel Veneto?

«Boccia è una persona conosciuta che ho potuto valutare sia nella sua impresa sia in Confindustria. Vacchi ha una bella e nota azienda ma io, personalmente, non l’avevo mai sentito nominare. E penso che sia molto importante per il nuovo presidente aver maturato una profonda conoscenza del sistema. Boccia è stato presidente della Piccola, la sua azienda è una Pmi, l’asse portante dell’industria italiana. È un imprenditore che può rappresentarci».

C’è chi chiede un esponente della manifattura vera, un industriale come lo ritrasse Stefano Dolcetta...

«Io dico che non serve la marchiatura sul braccio per essere un imprenditore della manifattura».

Quindi lei sceglie Boccia?

«La scelta del prossimo presidente di Confindustria è un passaggio delicato in funzione dei nuovi scenari economici. Oggi serve una Confindustria forte e rappresentativa e, pensando ai futuri candidati, trovo più appropriato Boccia».

Perché?

«Per una serie di motivi: lo conosco da quando ero presidente nazionale dei Giovani e lui era presidente dei giovani di Salerno. Già da allora era preparato ed equilibrato, per questo gli chiesi di rappresentare i giovani nel comitato senior per lo sviluppo delle aree deboli. Mi convince di più il suo programma, è a tutto tondo e si preoccupa di riportare la Confindustria a essere un attore importante e far sentire la propria voce. Un ruolo che ora mi risulta appannato».

E il Veneto come può far sentire la sua voce? Finora non siamo riusciti ad esprimere un presidente nazionale. «Siamo fortemente individualisti e, probabilmente, pur di non vedere un collega in posizioni di rilievo ci tagliamo le gambe da soli».

Sul fronte della vicepresidenza chi ritiene il candidato veneto favorito?

«Penso che dovremmo lasciare al presidente l’indicazione. Il capitano deve costruire la propria squadra sulla base di competenze e del feeling con le persone che dovranno collaborare con lui».

Perché lei, a suo tempo, uscì da Confindustria?

«Uscimmo da una territoriale ma rimanendo in un’altra, non siamo mai usciti del tutto. Non rinnego le mie affermazioni, frutto di un malessere accumulato. Penso di avere dato qualcosa a Confindustria, mi riconosco in questa organizzazione ma a volte la vedo più matrigna che madre».

Il caso Bpvi ha agitato il rinnovo in Confindustria Vicenza. In una lettera, noti esponenti industriali hanno chiesto segnali di rottura. Lei cosa pensa?

«Sono stato per sette anni consigliere di amministrazione di Unicredit Banca d’impresa ma se un imprenditore svolge il suo ruolo con professionalità, onestà intellettuale e pratica non vedo perché non possa sedere nel cda di un Istituto di credito. Mi pare che in certe situazioni, purtroppo, ma non spetta a me dirlo, ci siano state situazioni di abuso».

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