Automotive, tappeto rosso ai cinesi. «Un grande player per il rilancio»
La sfida storica della transizione elettrica in un confronto fra Federmeccanica e i fornitori Anfia. Visentin, avviso a Stellantis: «Sì all’insediamento produttivo in Italia di un marchio orientale»

Le tensioni geopolitiche non promettono niente di buono, in più la Ue ha appena annunciato dazi pesanti sull’importazione di auto elettriche cinesi. Eppure le imprese italiane si aggrappano proprio alla Cina per rilanciare le sorti delle forniture alle case autobilistiche, in una fase peraltro in cui le vendite di vetture sono in affanno e l’intero settore affronta sfide epocali. «Nell’auto elettrica – spiega il vicentino Federico Visentin, presidente di Federmeccanica e imprenditore a capo della Mevis di Rosà – la Cina è in possesso di un indubbio vantaggio sotto il profilo tecnologico, in più ha il controllo dei materiali rari che sono di importanza cruciale».
Insomma c’è da riconoscere a Pechino la forza di poter portare ricchezza in un comparto che in Italia è alle prese con le amletiche incertezze di Stellantis, la cui volontà di produrre in Italia la fatidica soglia del milione di vetture appare talvolta tutt’altro che incrollabile. E allora ben venga un mega investimento in Italia di un eventuale partner cinese, una partita sulla quale il ministro delle Imprese Adolfo Urso si sta spendendo in prima persona, dicono Federmeccanica e Anfia, Associazione della filiera industriale automobilistica.
Tutti argomenti che sono stati messi sul tavolo ieri mattina ad Altavilla Vicentina, nella sede del Cuoa, nel convegno “La filiera italiana dell’automotive tra transizione ecologica e competitività”. Un convegno sì, ma molto orientato alle politiche concrete da realizzare, e durante il quale sono stati presentati un paio di studi che danno il senso della fase storica che l’auto sta attraversando. Innanzitutto lo strapotere della Cina. Che nei 25 anni fra il 1998 e 2023 ha guadagnato quote di mercato con una velocità vertiginosa. Secondo i dati presentati dal professor Luca Beltrametti dell’università di Genova e da Corrado La Forgia, vicepresidente di Federmeccanica, dei 30,7 milioni di vetture in più fabbricate dal mercato mondiale fra 1998 e 2023, 25,6 milioni sono state appannaggio dei produttori cinesi. Un boom che, per converso, ha visto il cedimento della Ue (4,9 milioni di auto prodotte in meno) e dell’Italia (860 mila vetture in meno). Drammatico il declino nel nostro Paese: nel 1998 si producevano 1,4 milioni di vetture, nel 2023 se ne sono prodotte 542 mila. Proprio ieri a Torino si sono celebrati i 125 anni della Fiat: toni distesi fra il ministro Urso e l'ad di Stellantis Carlos Tavares, ma a qualcuno saranno fischiate le orecchie.

Secondo il report Anfia-AlixPartners presentato ieri ad Altavilla, a livello nazionale sono 1.144 (per un fatturato di 82,2 miliardi) le aziende di componentistica. Ebbene, la transizione elettrica comporterebbe una riduzione di fatturato della componentistica per i motori a combustione di oltre il 50% (7 miliardi di euro), con una possibile perdita di 30-50 mila posti di lavoro.
Stime pesanti, che spiegano come si guardi alla Cina come alla salvatrice della patria, peraltro proprio nei giorni in cui Volkswagen ha annunciato la chiusura del suo stabilimento di Suv elettrici di Bruxelles. Semmai la domanda è come questa strategia si incroci in modo vistoso con i dazi introdotti dalla Ue sull’importazione di auto elettriche cinesi, per l’asserita concorrenza sleale verso i competitor continentali. Per Visentin una decisione «pericolosa», mentre Roberto Vavassori, presidente dell’Anfia, affermando che «i dazi non piacciono alle aziende sane», dice che la protezione doganale da parte dell’Europa «ha senso solo per poter aprire un tavolo negoziale».
Insomma lo scenario è cambiato e continua a cambiare. Visentin, alludendo a Stellantis, non ha nostalgia della politica del «figlio unico», e il miliardo di contributi promesso dal governo a chi garantisca la produzione in Italia di un milione di auto li considera importanti ma non quanto una politica industriale «fatta non solo dal governo, ma anche dai grandi player che decidano di investire in Italia». Così si torna sempre ai tappeti rossi offerti alla Cina. In una regione come il Veneto reduce dalla sconfitta subita con la vicenda Silicon Box – la multinazionale dei chip che ha preferito Novara a Vigasio per il suo maxi impianto – è il presidente di Confindustria Veneto Enrico Carraro a sottolineare l’importanza di attirare sul territorio i grandi investimenti industriali: «Noi – chiede un po’ provocatoriamente l’imprenditore – abbiamo il coraggio di attrarre sul nostro territorio un grande produttore di auto cinese?» E ricorda che il progetto di un’agenzia che si occupi di calamitare in regione le scelte di grandi investitori globali, è tema ora del Consiglio regionale veneto. Si vedrà
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