Airbnb fa pace con il Fisco e sborsa 576 milioni. Sarà sostituto d’imposta

L’accordo con l’Agenzia delle Entrate chiude la vertenza per il periodo 2017-2021. La società non si rifarà sugli host. Dal 2024 pagherà direttamente la cedolare secca

Michele Di Branco
logo della piattaforma Airbnb, community globale di viaggiatori e host locali, visualizzato su uno smartphone. Portale on line
logo della piattaforma Airbnb, community globale di viaggiatori e host locali, visualizzato su uno smartphone. Portale on line

Un assegno da 576 milioni di euro da versare allo stato italiano e la promessa, per il futuro, di mettersi finalmente in regola con il Fisco pagando le tasse regolarmente. Una transazione tra Airbnb e Agenzia delle Entrate chiude la vertenza, almeno per il periodo 2017-2021, scaturita dalle indagini fiscali condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano.

La piattaforma irlandese, sotto tiro degli inquirenti da anni, ha concluso un accordo riguardo la ritenuta del 21 per cento sui redditi degli host non professionali derivanti da locazioni brevi ( “cedolare secca”). Airbnb non cercherà di recuperare dagli host le ritenute fiscali per questo periodo.

Nel dettaglio, come detto, Airbnb verserà complessivamente, 576 milioni di euro, di cui 353 milioni per le ritenute dovute e non versate, 174 milioni a titolo di sanzioni amministrative per le violazioni commesse e 49 milioni di interessi.

L’intesa raggiunta chiude il contenzioso nato con le indagini fiscali sfociate nel maxi-sequestro preventivo da 779 milioni di euro nei confronti della società. Nessuno sconto: Airbnb pagherà tutto quello che è stato richiesto dal Fisco, in quanto la cifra richiesta è stata “depurata” dei soggetti che non dovevano pagare la ritenuta.

In sede di accertamento con adesione e cioè di dialogo tra Agenzia delle Entrate e Airbnb, la piattaforma ha chiesto che venissero esclusi gli host che hanno la partita Iva, quelli che hanno più di quattro appartamenti e che vengono ritenuti professionali e quelli che prestano dei servizi particolari e per questo motivo sono ritenuti anche loro professionali e quindi non devono pagare. Infine sono stati eliminati anche quelli che comunque l’hanno pagata nella propria dichiarazione dei redditi. Quindi quello che rimane è il dato reale di chi doveva fare la ritenuta e non l’ha versata.

Altro dato interessante sono le tre tipologie di sanzioni comminate: la prima è per il mancato versamento delle ritenute, la seconda per la mancata effettuazione delle ritenute, la terza è per la mancata presentazione del modello 770, che è quello usato dai datori di lavoro per certificare le ritenute che operano. Fonti alle prese con questo dossier riferiscono che Airbnb ha dovuto accettare l’accordo in quanto si trovava ormai spalle al muro.

Secondo i pubblici ministeri che hanno condotto l’indagine è emerso in maniera evidente che la piattaforma ha un ruolo di “sostituto di imposta” e quindi era ed è tenuta a provvedere al pagamento al posto dei proprietari degli immobili, gli host. Ruolo certificato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dal Consiglio di Stato ma che il gruppo, nonostante i giudici Ue e italiani gli abbiano dato torto, finora non aveva riconosciuto.

La questione potrebbe non essere finita qui. L’accordo tra Fisco e Airbnb copre infatti fino al 2021 e gli inquirenti stanno verificando anche le due annualità successive.

«Stiamo proseguendo il confronto costruttivo con le autorità per quanto riguarda il periodo 2022-2023», ha fatto sapere la società a questo riguardo. Che per il futuro attende l’iter del disegno di legge di Bilancio, che interviene in tema di affitti brevi.

Un’attesa che coinvolge mezzo milione di alloggi presenti sul territorio nazionale, dei quali un po’ meno di 30 mila tra Veneto e Friuli Venezia Giulia (con un gettito della cedolare secca di soli 10 milioni di euro nelle casse dell’erario).

Venezia, con 8 mila appartamenti presenti su Airbnb, risulta la quinta città in Italia, mentre il Veneto con poco meno di 25 mila è ottavo tra le Regioni italiane (sul podio ci sono Toscana, Sicilia e Lombardia) e il Friuli Venezia Giulia diciassettesimo (con circa 4. 200, secondo i dati Federalberghi).

L’esplosione del fenomeno sta scuotendo in maniera profonda il mercato immobiliare e del turismo tanto che, appunto, il governo sta mettendo a punto una riforma complessiva. Che non serve tanto a fare aumentare le tasse (si parla di un gettito aggiuntivo di 9 milioni rispetto ai 100 attuali), quanto a mettere ordine in un business che, come dimostra proprio il caso Airbnb, è connotato, tra evasione ed elusione fiscale, da elementi simili al Far West.

Con la legge di Bilancio il governo ha operato un energico giro di vite facendo salire la cedolare secca (introdotta nel 2017) dal 21 al 26 per cento. Inoltre, nel disegno di legge Palazzo Chigi ha stabilito che il soggiorno minimo presso gli Airbnb non possa essere inferiore a 2 notti. Viene quindi introdotto il Cin, il Codice identificativo nazionale per gli affitti turistici concesso dal ministero del Turismo (riforma rimasta sulla carta dal 2019 per la mancata introduzione del decreto attuativo).

Chi ne sarà sprovvisto rischia sanzioni da 800 a 8 mila euro; per la mancata esposizione del Cin le sanzioni vanno da 500 a 5 mila euro. Per chi affitta in forma imprenditoriale, la mancanza di segnalazione certificata di inizio attività (Scia) è punita invece con una multa da 2 mila a 10 mila euro. —

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