Troppo caldo anche per l’amore (o forse no)

Gina cerca distrazioni in una spiaggia affollata di scogli, personaggi e dettagli. E proprio quando non ci sperava, una mano e un nome la sorprendono

Betina Prenz

«Anch’io troverò il mio Consuelo», sospirò Gina mentre guardava Consuelo, completamente nuda, slanciata verso il compagno, nudo anche lui, entrambi in piedi sullo scoglio, sotto il raggio del sole, il mare immenso all’orizzonte.

Seguì un lungo bacio. Di tutto il corpo, solo le labbra erano a contatto. Faceva troppo caldo anche per l’amore.

Gina sospirò di nuovo e distolse lo sguardo dal bacio alla sua borsa da spiaggia.

Era a pancia in giù e chiappe in su. Voleva togliersi in quei giorni il fastidioso segno del costume, per apparire, quando l’occasione si fosse presentata, di un marrone uniforme e invitante.

Si girò, si sedette e dalla borsa estrasse il cellulare. Perché lo facesse continuamente, non lo sapeva. Sapeva bene, invece, che non vi avrebbe trovato nulla.

E, infatti, guardò lo schermo del telefono – niente – lo buttò con rabbia nella borsa azzurra a righine rosa e gialle, che ben si intonava con lo smalto azzurro sulle unghie dei piedi.

Avrebbe voluto accendersi una sigaretta e invece si alzò di scatto. Meglio l’acqua che il fumo. E poi, faceva troppo caldo anche per fumare.

Si avviò verso lo scoglio dove poco prima i piccioncini tubavano, ingresso obbligato in mare. Altra via sarebbe stata troppo impervia.

Dal suo scoglio, liscio, piatto, comodo, fece dunque un lungo passo, quasi un salto, e atterrò sullo scoglio successivo, dove giaceva esposta al sole cocente, e a occhi chiusi, la Vedova.

Meno male, pensò. Non aveva voglia di sottoporsi a uno degli interminabili monologhi che la signora sciorinava a chiunque le passasse accanto.

Furtiva ma decisa, fece un altro agile salto e – ooop! – eccola sull’ultima piattaforma rocciosa prima della vasta distesa di mare. Lì la attendeva, in piedi accanto a un palo di legno conficcato in un buco nello scoglio, scuro da morire – lui, non il palo, non lo scoglio – il Capo spiaggia.

Lo chiamavano tutti così.

Forse perché era sempre lì, dalla mattina alla sera, ogni santissimo giorno. O forse perché conosceva tutti e parlava con tutti. O forse perché era lui a occuparsi del palo, elemento fondamentale per gli habitué del luogo e non.

Se si sbucava dalla pineta e si guardava il promontorio, ma non si intravedeva il palo, ci si sentiva immediatamente disorientati e a stento si riconoscevano gli scogli abituali. Se, viceversa, dopo una bella nuotata, ci si accingeva a uscire dall’acqua, e il palo non c’era, si cadeva vittime dello stesso disorientamento.

Insomma, quel palo era fondamentale e il Capo spiaggia se ne occupava amorevolmente. Quando la marea saliva rischiando di portarlo via, o se c’era maltempo, lui si premurava di tirarlo fuori – guai se fosse andato perduto! – per poi rimetterlo al suo posto, appena possibile.

Ora stava lì in piedi accanto al palo, pronto, per galanteria forse, a porgere la mano a Gina e aiutarla a calarsi in acqua.

Gina, tuttavia, odiava “calarsi”. Preferiva, piuttosto, un bel tuffo e via!

«Attenta che la marea è bassa, tuffati in superficie», la esortò il Capo spiaggia con una serietà solerte che strideva con il suo pisello al vento. Come se non sapesse tuffarsi!

Gambe unite, punte dei piedi sull’estremità dello scoglio, spinta decisa, braccia sopra la testa, e splash, Gina era già in acqua.

Un’acqua limpida, trasparente, vellutata, fresca: la più bella che avesse mai sentito sul suo corpo completamente nudo. Che bellezza la vita! E per un attimo si sentì felice.

Nuotò sott’acqua finché le tenne il fiato. Quando rispuntò sulla superficie guardò da lontano la terraferma: il promontorio, chiuso in fondo dal verde della pineta, era come un ammasso di isolotti bianchi posizionati sull’acqua, ognuno con i propri abitanti sopra.

C’erano le due grosse signore con i loro ampi e colorati cappelli, una mora, l’altra bionda, sedute a chiacchierare, con le gambe di lato, posizione che accentuava la loro grande mole e i cuscinetti di grasso che si srotolavano qua e là.

Un ombrellone a righe verdi e gialle spiccava dall’isolotto accanto. Là sotto leggevano beati, gli unici all’ombra, marito e moglie sulla cinquantina. Attrezzatissimi: sdraio, sedia, materassino, borsa-frigo. Davvero controcorrente: là di solito ci si recava allo stato brado.

Da dietro l’ombrellone, ecco sbucare lui e lui. Giovani, belli, in forma. Mano nella mano, avanzavano saltellando verso il palo. Si calarono cauti in acqua sotto lo sguardo vigile del Capo spiaggia: «Bravi, bravi! Meglio non tuffarsi, c’è la bassa marea».

Gina li guardò allontanarsi nuotando a rana. Dalla direzione opposta arrivavano quattro braccia a stile libero. Consuelo e il compagno di ritorno dalla nuotatina quotidiana?

Quando si decise a uscire dall’acqua, il Capo spiaggia le tese una mano. Lei rifiutò. E – ooop! – era già sopra lo scoglio.

Come se non sapesse risalire!

Mentre faceva il primo balzo sulla via del ritorno, lo sentii dire: «Bei piedi».

Che ci stesse provando?

Si voltò, per gentilezza, e gli fece un mezzo sorriso. Ben sapeva che i suoi sorrisi – quelli per intero – finivano sempre per far perdere la testa a qualcuno. Meglio elargirli con precauzione.

La rapida occhiata che accompagnò il suo mezzo sorriso, le ricordò che l’unica volta che l’aveva incontrato al bar, vestito, non lo aveva riconosciuto. Per lei era naturale vederlo così, nudo e crudo.

Secondo balzo a ritroso. La Vedova stava ancora dormendo sul suo scoglio. Immobile come se fosse morta.

Terzo balzo felpato ed era arrivata. Con i capelli gocciolanti, si sedette sull’asciugamano azzurro, indecisa se prendere il telefono, una sigaretta o il libro.

Optò per il telefono.

Per la miseria! Niente! Era il colmo. Quello stupido di Corrado Silla non rispondeva ai suoi messaggi!

E fumiamoci una sigaretta! Eppure, mentre frugava nervosamente nella borsa in cerca dell’accendino, vide che il Capo spiaggia la stava fissando, da lontano, con insolito interesse. Forse pronto a intervenire con una bonaria paternale sul fumo e così tentare un approccio.

Al posto dell’accendino tirò fuori il libro. Fece per aprirlo alla pagina dove era arrivata con non poca fatica. Di colpo, però, si rese conto che l’unico movente di quella lettura era il nome del personaggio principale, identico a quello di colui che, in quei frangenti, la faceva uscire dai gangheri.

Peraltro, Malombra, ma che titolo è per una giornata di sole come quella?!

Rimise subito il libro nella borsa. E poi, faceva troppo caldo anche per leggere.

In men che non si dica era già immersa di nuovo nella felicità dell’acqua. Quando fece per risalire, senza nemmeno accorgersene – chissà, chissà perché – prese la mano che il Capo spiaggia le offriva come supporto. Mezzo sorriso di ringraziamento e passò oltre. Riuscì tuttavia a sentire – o le parve di sentire? – il Capo spiaggia pronunciare le seguenti parole:

«Chiamami Consuelo».

Era forse impazzita? Sentiva delle voci?

Si voltò bruscamente e incrociò lo sguardo divertito di lui. E – chissà, chissà perché – questa volta, sì, per intero, le scappò il suo dolce e accattivante sorriso. Tutto intero.

L’autrice: Betina Prenz

Betina Lilián Prenz è nata a La Plata, provincia di Buenos Aires. Nel 1975 è costretta ad abbandonare con la famiglia l’Argentina per trasferirsi in quella che oggi è l’ex Jugoslavia. Nel 1979 approda a Trieste, città nella quale tuttora risiede.

Dopo la laurea e il dottorato di ricerca in Filosofia, ha insegnato lingua spagnola presso varie università italiane, occupandosi anche di traduzione letteraria, soprattutto poetica. Ha al suo attivo il romanzo “Morte con lode” (Baldini & Castoldi). Ha tradotto in italiano dallo spagnolo romanzi, racconti, saggi, poesie di suo padre, Juan Octavio Prenz.

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