Quei ragazzini che sono sempre altrove
Una banda di adolescenti occupa l’anfiteatro con vita e incoscienza. Ma l’autorità risponde con controllo, rabbia, insicurezze e desiderio di dominio

Arrivano d’estate, a scuola finita. All’ora del tramonto, quando i gradoni dell’anfiteatro sono inondati di luce dorata e il cielo che si fa indaco: a coppie o a gruppi di tre, quattro per volta. Sono una banda, qualcuno si aggiunge e qualcuno si perde. Sanno che è proibito entrare nell’anfiteatro ma se ne infischiano. Ci entrano con i monopattini, con le biciclette, con gli zaini.
Si piazzano sui gradoni, si spintonano, si incollano gli uni agli altri, accendono sigarette elettroniche, hanno portato i panini, i pacchetti di patatine, lattine di birra e Coca cola, più tardi una bottiglia di Gordon Gin che si passano bevendo a canna.
Hanno quattordici o diciassette anni, sono i figli della città e questa è la loro stagione: l’estate dilatata dove tutto è permesso, tirare tardi, sbaciucchiarsi, farsi una canna tra le rovine romane, esibirsi in qualche prodezza, addormentarsi in cima alle scalinate, vedere l’alba. A volte qualcuno porta un pallone, tirano fuori i cellulari, si fotografano, provano le suonerie, guardano i video degli youtuber. Non fanno niente, ascoltano la musica con le cuffie. Sono nel teatro della vita.
Un affronto, tutto questo spreco di tempo e giovinezza esibiti così nel cuore della città. Sono state richieste delle contromisure. Il questore in persona si è incaricato di farle rispettare e ora spia i ragazzi dalla finestra del suo ufficio, dietro le veneziane che sono le stesse degli edifici scolastici. Fa tardi, il questore. Non ha motivo per tornare a casa dove tanto non lo aspetta nessuno, e poi vuole dare l’esempio – dedizione e fermezza. Pugno d’acciaio. Regole.
Ma chi si credono di essere questi? Ai suoi tempi li avrebbe fatti prendere a calci, ma ora guai a chi li tocca. Bisogna però ripristinare l’ordine, non farsi prendere in giro, che poi se uno di questi scalmanati fa una sciocchezza, se finiscono male, poi già si immagina i genitori, per non parlare dei giornalisti, tutti a puntare il dito sulla sicurezza. E allora lui ha messo il coprifuoco. D’estate sì, cosa c’è di male?
Questi debosciati gli ci vorrebbe la leva. Questi che con la polizia fanno pure gli arroganti, gli sbruffoni: appena vedono arrivare le volanti saltano fuori dall’anfiteatro, tutti sul marciapiede e con quell’aria strafottente del cosa vuoi da me? Oppure schizzano sui monopattini tra le auto, e le ragazze ridono aggrappate alle schiene dei maschi, non serve a niente inseguirli, la fanno sempre franca.
***
Ora il questore ha deciso di dargli una regolata. Ha chiesto provvedimenti speciali, richiamato le pattuglie dai viali con i locali dove monitoravano gli alcolizzati alla guida, o dalle ronde in periferia. Li vuole tutti in città, all’anfiteatro, pronti a scattare. Non può un branco di mocciosi provocarlo in questo modo. I quattordicenni, grazie a lui, da qualche giorno possono uscire la sera solo accompagnati dai genitori, ha convinto il sindaco a emanare un’ordinanza.
«È estate...»
«E allora?»
«In fondo noi alla loro età...»
«Noi alla loro età portavamo rispetto. Avevamo timore. Se una cosa era vietata era vietata.»
«Ma se i ragazzi escono, se si trovano...»
«Sindaco, la prima grana cade addosso a lei, io la avviso... E vedrà che capita.»
La banda prolifera, come la gramigna, spuntano a ogni angolo. È ora di usare la forza.
Si prepara, il questore. Li studia. Le guarda, le ragazze, ragazzine, tutte in short, top colorati su schiene nude, abbronzatissime, scarpe da ginnastica bianche, i capelli con le meches rosa, collanine e braccialetti, si fotografano testa contro testa, ballano con la musica dal cellulare. I ragazzi in pantaloni della tuta neri, le canottiere bianche, poi la felpa con il cappuccio tirato sulla testa. Delinquenti.
Corpi che sono pura energia, muscoli tesi, una fisicità esplosiva. E ridono, guarda come ridono, se la spassano: l’anfiteatro inagibile da anni per i vincoli della soprintendenza è il loro regno. Si sfidano, fanno salti e volteggi, si mettono in mostra, quei loro denti bianchi spalancati al cielo, le teste buttate indietro e i capelli mezzi bagnati come fossero al mare.
Decide così, il questore, a colpo d’occhio. È la sera giusta per piombare addosso ai mocciosi, interrompere i loro giochi. In un attimo gli agenti scattano pronti. Arrivano a piedi, niente spettacolo, si dividono in coppie per circondare l’anfiteatro in silenzio, non lasciare scampo. Salgono in cima ai gradoni, hanno già il fiato corto.
Poi un ragazzo grida, dà l’allarme quando vede un poliziotto comparire dalle sedute più in alto – un uccello del malaugurio pronto a buttarsi in picchiata sulle prede. Spuntano tutti gli altri e in un momento li circondano. Visti da vicino questi ragazzetti della banda sono ancora più giovani, hanno dodici o quattordici anni al massimo. Hanno già radunato le loro cose, zaini in spalla. Mica stavano facendo qualcosa di male. Il questore fa la predica, loro sghignazzano, le ragazze alzano gli occhi al cielo.
***
Dieci minuti dopo sono tutti nell’edificio della polizia, declinano le proprie generalità, aspettano i genitori, si scambiano il lucidalabbra, toccano gli oggetti sopra le scrivanie, giocano, provocano anche lì. Ha telefonato il sindaco, si raccomanda di non farsi prendere la mano. Non capisce un cazzo, il sindaco.
E infatti la sera dopo questi sono tutti di nuovo all’anfiteatro. Altro che multe, servivano i servizi sociali, un mese di lavori socialmente utili, estate rovinata, questo voleva il questore. Invece ora eccoli. Liberi. Ostentano la loro libertà. È questo che fa infuriare il questore: quella cazzo di libertà, chi si credono di essere. Lui non molla, non può farlo, ne va del suo onore. Non può farsi umiliare davanti ai suoi.
Inizia la caccia. Di nuovo. Ma i ragazzi si sono fatti furbi. Questa volta svicolano da tutte le parti, acrobati. Giocano a nascondino. A guardie e ladri. E chi ha mai voluto la parte della guardia? La città finisce per stare dalla parte dei ragazzi. I poliziotti in affanno, fuori forma, le facce color pomodoro. Non ci si può far umiliare da una banda di ragazzetti. Ma cosa vogliono dimostrare? Niente. È questo il punto
È così che la fanno franca, perché i ragazzini non vogliono dimostrare niente, nessuna rivendicazione, nessuna opposizione, della politica non gli importa nulla. Sono agili, veloci, corrono a rotta di collo. Non la smettono di ridere. Non conta se alla fine verranno presi, perché loro sono sempre già altrove: fuggitivi nati, pronti a infilarsi in ogni scappatoia e a inventarsi un nuovo desiderio, un nuovo anfiteatro. È l’estate, bellezza. Fino all’alba.
L’autrice: Federica Manzon
Federica Manzon è nata a Pordenone nel 1981. Ha diretto la didattica della Scuola Holden ed è direttrice editoriale della casa editrice Guanda. Ha esordito nel 2008 con il romanzo “Come si dice addio” (Mondadori). Sono seguiti “Di fama e di sventura” (Mondadori, 2011, premio Rapallo Carige e premio Selezione Campiello), “La nostalgia degli altri” (Feltrinelli, 2017) e “Il bosco del confine” (Aboca Edizioni, 2020).
Ha inoltre curato un’antologia, “I mari di Trieste” (Bompiani, 2015). Il suo ultimo romanzo “Alma” (Feltrinelli 2024) ha vinto il Premio Campiello e altri riconoscimenti. Collabora con quotidiani (comprese le testate NEM) e riviste letterarie. Vive tra Milano e Trieste.
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