Pippo, il cortile e la scoperta delle formiche
Tra ghiaia, giochi e silenzi estivi, i bambini esplorano un mondo segreto. Ronzano aerei, si prega tremando, si cresce dentro un tempo sospeso

Come era pieno di belle scoperte il cortile fra la casa del nonno e la scuderia, col grande orologio al centro che suonava ogni quarto d'ora ei tre ampi archi che davano sul giardino segreto!
Ci andavamo scendendo per la scaletta della cucina della casa di nonno Yerwant, che era grande, austera, con le pareti foderate di seta sbiadita e ormai consunta, piena di buchi e buchetti malamente ricuciti (c'erano la stanza verde, la stanza gialla, il salone marezzato: e li chiamiamo ancor oggi così, anche se gli ultimi brandelli di seta sono stati strappati via cinquant'anni fa...). Il camino enorme che non veniva mai acceso, sormontato dal leone di profilo, ritto sulle zampe posteriori, ci appariva molto minaccioso; e le grandi portafinestre un po' oscure, coi vetri a losanghe vecchi di cent'anni, rendevano il salone, sempre freddissimo, un luogo da oltrepassare correndo.
Nella stanza gialla invece si passava la notte, noi tre bambini su lettini vicini e la tata – abituata a russare con impegno – dietro una pesante libreria. Durante la notte lei dormiva di gusto; e noi potevamo divertirci, bastava non svegliarla.
E ce ne guardavamo bene. abbiamo sviluppato tutto un sistema di segnali con le mani e di brontolii appena accennati che ci permetteva di star svegli a giocare almeno per un'oretta dopo l'andata a letto ufficiale: avevamo anche una lampadina da notte, voluta dalla mamma a tutti i costi, con la scusa che eravamo ancora spaventati (oggi si direbbe traumatizzati...) a causa della guerra finita da poco.
***
In realtà i bombardamenti non ci avevano mai fatto paura, perché in verità i bambini non si spaventano facilmente, ea tutti noi piacevano molto le novità notturne: tutta quell'agitazione che scoppiava improvvisa, svegliarsi con qualcuno che ti abbraccia, lasciarsi vestire in fretta (e nessuno ti sgrida se sbagli a metterti i calzetti...); e poi scappare verso il rifugio dove tutti ti danno dolcetti e carezze, vedere i fuochi scoppiare qua e là e l'orizzonte in fiamme - e sentire il rumore pesante degli aerei carichi di bombe, magari assaporando con delizia i timori dei grandi.
Ci sentivamo presi sul serio, ci sentivamo testimonianze: dal vivo, di eventi importanti che avremmo potuto un giorno raccontare, ed essere creduti. Pensavamo di essere immortali, eroi in prima fila; e poi sapevamo che i tedeschi sarebbero stati sconfitti perché stavano arrivando gli americani, quelli veri, coi cappelli da cowboy ei fuciloni e le mitiche Colt.
In quell'estate del '44 il nonno aveva voluto rientrare a Padova, convinto da certi suoi oscuri - ma fallaci - presagi che la guerra stava per finire, e ci ospitò tutti a casa sua, perché la nostra era stata bombardata; era ancora in piedi, ma piuttosto diroccata, inabitabile. Mia madre sarebbe rimasta molto volentieri nella villa del Dolo, da dove si poteva scappare velocemente in fondo al parco che dava sul canale, ma per papà, che doveva andare tutti i giorni nel suo reparto in ospedale, stare in città era molto più comodo.
E così passammo a Padova la calda estate del '44. Ogni mattina dopo il caffelatte scendevamo di corsa nel cortile, io, Paola e Claclo-me, che era il più piccolo e non rispondeva mai se lo chiamavano Giancarlo, o Gianni; era un bambino tranquillo e testardo, ottimo compagno di giochi. Spesso venivamo giù anche zia Enrica, che ci annoiava perché non voleva vederci giocare rovistando in mezzo alla ghiaia sporcandoci tutti, invece di andare a passeggiare nel giardino grande.
“Zia Enrica non capisce niente”, sentenziammo noi all'unanimità, tanto a lei non ubbidiva nessuno. Come faceva a non accorgersi che c'erano tante cose nascoste in mezzo alla ghiaia, da raccogliere e conservare con cura nei nostri nascondigli segreti? E prima di tutto i preziosi foglietti argentati che lanciava l'aereo Pippo, quando veniva a sorvolare la città ei paesi; poi chiodi, viti e minutaglia varia d'acciaio e di ferro, tutta roba che cadeva dall'alto e che noi bambini ci scambiavamo con fervore. E anche minuscoli pezzetti di stoffa, residui di qualche esplosione trasportati dal vento.
Il rumore di Pippo era speciale, come un ronzio, non il basso uniforme minaccioso tuono dei bombardieri - che erano sempre tanti, e che sembrava coprire il cielo. E poi lui arrivò dopo il tramonto, ma non tutti i giorni. Noi lo aspettavamo con ansia, proprio per via dei foglietti d'argento che piovevano a terra e ci parevano preziosissimi. Tutti i bambini li raccoglievano e se li scambiavano, e il loro valore cresceva nei periodi in cui - come a fine agosto - Pippo per qualche giorno non venne.
I grandi invece ne avevano gran paura. Si diceva che portasse solo una bomba ogni sera, e che la lanciasse a capriccio su una casa qualsiasi, solo per tenere in allarme la popolazione anche nei giorni in cui non erano previsti bombardamenti con le fortezze volanti. E fu così che una sera io feci un figurone, di cui poi zia Enrica parlò per mesi a tutte le sue amiche (io ascoltavo di nascosto, contentissima).
***
Era una serata molto calda, senza un alito di vento. Le grandi finestre del salone erano per fortuna tutte spalancate. Gli adulti erano seduti in circolo e chiacchieravano, con lunghe pause; forse stavano giocando a carte. C'erano nonno Yerwant, papà e mamma, zia Enrica e un paio di vicini, fra cui la signora Erminia, tonda e simpatica. Ma ecco improvvisamente il ronzio famigliare dell'aereo solitario, e tutti si immobilizzarono, come in attesa; subito dopo si sentì il sibilo di una bomba che fischiava, cadendo vicinissima a noi, e allora tutti – tranne il nonno – si misero a gridare. Ma a me, che aveva appena fatto la prima Comunione, e aveva letto la sua storia, quello sembrò il momento giusto per fare la Giovanna d'Arco: mi alzai in piedi e – felice di dare ordini ai grandi – gridai: “In ginocchio! Pregate invece di gridare!” E subito tutti effettivamente si misero in ginocchio – tranne il nonno - e la signora Erminia cominciò l'avemaria. La bomba era caduta su una casa vicina.
Mi convinsi allora di avere con Pippo una specie di accordo speciale, ma mi guardai bene dal dirlo ai miei, che si sarebbero molto divertiti a prendermi in giro, lo dissi solo a Claclo-me: lui sì che mi dava sempre ragione... Ma quando in un pomeriggio tranquillo lui cominciò di colpo a urlare, disperato, e singhiozzava: "Non voglio più grattare per terra! Ci sono dei mostri terribili!", non capii, povero Claclo, che aveva scoperto in quel momento l'esistenza delle formiche, e che da allora in poi – e per tutta la vita – avrebbe dovuto affrontare e combattere quella gravissima miopia congenita che fino ad allora lo aveva preservato, isolandolo in un suo meraviglioso mondo fantastico.
Riproduzione riservata © il Nord Est