L’uomo che parlava con il popolo delle balene

Nel silenzio artico, un uomo scivola nell’abisso per parlare con gli spiriti marini. Tra canti, ossa e mare, la vita di una comunità si affida a un’antica alleanza 

Massimo Maggiari
Il salto di una balena
Il salto di una balena

Dagli inizi, dalla Genesi dei mondi, navigare con la balena risveglia la memoria più antica e profonda in tutti noi. Quella delle ossa. Un lascito invisibile ma reale che rimane a testimoniare il passaggio delle generazioni. Solo laggiù si raccolgono le storie veramente importanti del mondo. Soltanto in quel silenzio si generano i pensieri della Madre Terra: i miti, le saghe, le leggende e i destini degli uomini. Laggiù in quell’abisso la voce di ogni singola creatura è sacra.

Esiste una spiaggia nell’Artico polare su cui le balene vanno a spiaggiare. La gente locale ha canzoni sull’oceano, come pure su quel luogo. Chi visita quell’angolo di mondo ha gli occhi che si muovono orizzontalmente scrutando l’orizzonte. Vanno su e giù, fino a sprofondare in un distante miraggio da cui emergono i mostri marini più insoliti. Ci sono anche delle isole laggiù, e poche casupole abbandonate, mentre sulla spiaggia abitano mucchi di conchiglie e gusci che hanno protetto milioni di ostriche lungo il declino dei secoli. Vicino alle dune sabbiose si trovano tracce di gente antica che viveva lì in tempi di cui nessuno conosce la data né la leggenda.

C’è anche chi parla di vascelli affondati e di luoghi segreti che riparano ancora oggi tesori nascosti. Vane memorie di mondi di passaggio mai ancorati abbastanza a lungo. Un uomo, agli inizi del Novecento, raccontò di arcobaleni che scendevano dal cielo per cercare quel lembo di costa.

Qua e là giace qualche scoglio e delle piccole insenature con dei ripari di roccia. Laggiù un uomo forte e giovane, Nuntaq, per anni ha fatto il bagno nudo nel mare frigido. In certi momenti spariva sott’acqua trattenendo il respiro. Le madri consigliavano ai bambini di non recarsi da quelle parti, ma loro, intuendo che c’era rischio andavano di sovente a portare qualche offerta alle creature del mare.

Le ossa di balene catturate sono ovunque su quella costa artica. Più a nord c’è un angolo di spiaggia molto particolare, dove le balene vanno a grattarsi la schiena sulla battigia, o dove saltano fuori dal mare con uno spruzzo, rincorrendosi per lunghi tratti. Tutto questo accade solo alla mattina presto: chi vuole vederle deve alzarsi di buon’ora e mettere la giacca pesante. Alle balene piace essere guardate, subito avviano uno spettacolo che sembra un saluto.

Chiunque stia guardando prova un sentimento di grande meraviglia e poi di sollievo. A volte, al passaggio di una tempesta o di un temporale, quel luogo si trasforma, diventando pauroso. Altre volte l’acqua è così calma che la pace che vi si trova è simile al paradiso.

Col tempo, l’anziano Nuntaq riusciva a immergersi sott’acqua in tutti quei luoghi e trattenere il respiro per un tempo che sembrava infinito. A lui piaceva anche vagare alla ricerca di nuovi fondali da esplorare. Laggiù incontrava le creature del mondo marino osservandole da vicino una ad una: i pesci dall’occhio vivo, la piovra coi tentacoli rosa, i leoni marini trasportati dalla corrente. Per questa sua insolita esperienza conosceva bene l’oceano, la sua vita sommersa e poteva sott’acqua parlare con le balene.

I balenieri del villaggio incominciarono a contare sull’aiuto di Nuntaq prima di ogni caccia e lui a seconda della stagione o della situazione spariva sotto le onde per compiere la propria missione. L’importante era che la gente del luogo mostrasse rispetto per l’animale e in qualche modo partecipasse a quella sua sparizione.

Preso il largo, l’anziano facilmente scivolava via dal kayak scomparendo nel blu scuro delle acque mentre le donne cantavano sulla riva i canti per attirare le balene. Nel frattempo, sulla terraferma non si sentiva né un rumore o un filo di vento perché tutto sembrava sospeso in attesa di un evento fuori dall’ordinario. Nessuno lavorava, neppure scambiava o donava, né rideva o abbracciava l’amico.

Tra le casupole del villaggio, aleggiava ovunque uno strano e composto silenzio mentre le donne sullo spiaggione proseguivano senza sosta nel rito del canto accompagnando lungo le frasi la danza ipnotica del mare. In quel loro volto trapelava un’espressione solenne, intanto, che la voce usciva con una tonalità morbida per portare rispetto all’impresa del vecchio sciamano.

Chiedevano alle acque di avere pietà di lui per quel gesto di sacrificio a beneficio della comunità. Ben sapevano che oramai quelle sue mani dovevano essere gonfie e violacee immerse in una fluttuante coltre di plancton spinta avanti dalla corrente. Navarana, la moglie, cantava anche alle balene e mostrava un grande rispetto per loro pregando che almeno una prestasse attenzione a Nuntaq e si offrisse alla sua gente. Il popolo della costa artica. Il popolo delle balene.

Al momento dell’incontro con la balena pure lei si sentì presente. Con gli occhi chiusi, immersa nella voce del canto, assieme al marito in supplica all’animale.

Guardaci bene, stiamo soffrendo. Abbi pietà di noi. Siamo fragili e piccoli. La nostra gente ha fame. O fratello, o sorella balena, da noi avrai tutti gli onori. La nostra terra è bellissima. I nostri focolari sono caldi. Abbiamo molti piccoli da sfamare e i tuoi occhi li potranno ammirare.

Tornerai come un cucciolo e le nostre preghiere ti faranno rinascere in un corpo che sarà in parte umano e in parte balena. Dentro di te, ci sarà gioia, luce e tanto amore. Ti daremo accoglienza, grandi feste, e un giorno all’ultimo respiro ci uniremo a tutte voi perché noi siamo il popolo delle balene.

Si dice che la balena rispose alla supplica perché ammaliata da quelle parole e dalla dolcezza del canto. L’indomani un umiak con sette cacciatori avrebbe lasciato il villaggio per andarle incontro al centro della baia. Non vedendo riemergere Nuntaq, la figlia picchiò col pugno più volte sulla sabbia lanciando un grido soffocato. A quel punto, il temprato inuit uscì

L’acqua gli sgocciolava lungo i fianchi mentre un pesciolino sostava ancora imprigionato su di un ciuffo di capelli. In bocca aveva un solo dente, la faccia era quasi blu e la camminata progrediva leggermente rigida sulle gambe. Senza perdere tempo si accostò alla figlia dicendo con affanno: “Ragazza, non vorrai mica mandar via le balene dando quei pugni così infuriati sulla spiaggia!”.

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L’autore

Massimo Maggiari, nato a Genova-Nervi nel 1960. Attualmente vive a Charleston, nella Carolina del sud, dove insegna lingua e letteratura italiana all’università locale e organizza eventi di cultura italiana. Ha collaborato con saggi, interventi e recensioni a diverse riviste d’italianistica in Italia, negli Stati Uniti e in Sud Africa.

La sua prima raccolta di versi s’intitola Terre lon-tane/Lands Away (Campanotto, 1999). Scrittore di viaggi e narratore. Nel 2008 ha pubblicato con Vivalda editore “Dalle terre del Nord. Alla ricerca dell’anima artica”. Contribuisce a Mentelocale (Genova) e America Oggi (New York) con recensioni di eventi poetici, libri e diari di viaggio. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo anche “Al canto delle balene” (2018) e “Leggere nel cuore” (2022).

 

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