La santa eucarestia con le paste ogni domenica
Una notte di dubbi e attese. E una mattina che non sa di essere azzurra: «Vorrei continuare a vivere, ancora per un po'. Ho paura, credo»

Squilla il telefono durante la notte, al primo squillo l’uomo si alza da letto, non si infila le ciabatte sistemate con ordine sul tappetino, e corre a rispondere. Quando alza la cornetta dice: “Pronto” e ha una voce trafelata, ansiosa. Dall’altra parte staccano, come un deglutire o un singhiozzo di rabbia. L’uomo torna a letto, a passi lenti. Si butta sulle lenzuola, appoggia il cuscino allo schienale e si appoggia in una posizione rialzata. Si tocca la fronte col palmo, ansima. La moglie, di fianco, alza la mano destra e lo carezza, poi gli stringe la mano.
***
“Chi era?” chiede.
“Non hanno risposto...”
“Non riesci a dormire?”
“Pensi che siano quelli dell’ospedale?”
“Stai tranquillo, non telefonano a quest’ora, sono le cinque...”
“Sì, ma in caso di gravi urgenze...”
“I risultati li sapremo dopodomani, non ci sono urgenze, stai tranquillo, riposati. Sdraiati bene, chiudi gli occhi e prova a dormire...”
“Pensi che morirò?”
La donna gli stringe la mano più forte, gli pianta le unghie dentro ma l’uomo non sente nulla alla mano, non dà cenni di sofferenza. Giocherella con un ciondolo a elefantino che ha al collo.
“Me lo hai regalato tu, ricordi?”
“Come no, un elefantino che ha sempre la proboscide alzata...”
L’uomo ridacchia, si piega in basso e bacia la donna in bocca. Ricorda tante mattine in cui si sono svegliati insieme, mattine estive, dalle giornate lunghe, lunghissime, quasi infinite.
“Vedi, io non sono un granché...”
“Non dire così...”
“Io sono poche cose, se ci penso io sono poche cose, le mie camicie nel cassetto, quelle partitelle a calcio da ragazzini, i tuoi orecchini con la perla di quando ci siamo conosciuti...”
“E la musica, i Coldplay...”
“Sono anche la musica, ma non molto di più...”
“Oh no... tu sei molto di più, sei un uomo che...”
“Non voglio le grandi cose, voglio essere stato un buon compagno, voglio essere ricordato da te, solo da te...”
“Dio, non parlare così, non è ancora successo niente...”
“La cosa strana è che più sono piccole le cose, più mi dispiace morire…”
***
Il telefono squilla di nuovo, l’uomo si alza di soprassalto, non accende la luce, corre, il ginocchio urta lo spigolo della porta. Il corridoio lungo, il telefono in fondo, che squilla, squilla ancora.
Alza la cornetta, ancora il bip bip ritmato della comunicazione interrotta. L’uomo passa per la cucina, sente il ronzare del frigorifero, viene inondato dalla luce quando lo apre.
Prende una bottiglia di acqua e beve a collo una lunga sorsata. L’uomo pensa alla morte, molta luce e molto freddo, la luce sparisce di colpo.
Torna a letto. Prova a dormire, si agita, si agita sempre di più, non ce la fa a fermare il piede che si muove da solo.
“Non riesci a dormire?”
“Credo di no...”
“Un penny per sapere a cosa stai pensando...”
“Facevamo sempre questo gioco.”
“Possiamo aspettare l’alba...”
“Abbiamo passato troppe sere davanti alla televisione.”
“Troppe sere, ma eravamo stanchi...”
“Abbiamo lavorato troppo...”
“Il lavoro ci piaceva...”
“Sì, ma mi piaceva di più svegliarmi la domenica mattina e andare in bicicletta, e poi comprare le paste dal fornaio, e portartele e svegliarti e vedere che le mangiavi...”
“A me piaceva mangiarle...”
“Lo so che ti piaceva... Sai come chiamavo questo rito della domenica? Non te lo ho mai detto...”
“Come lo chiamavi?”
“La santa eucarestia...”
“Come quella della chiesa? Il corpo di Cristo?”
“Proprio così, tu mangiavi il mio corpo nelle paste, erano le mie paste consacrate, ti comunicavi con me... Era un momento religioso...”
“Perché non me lo hai mai detto?”
“Perché non le avresti mangiate più allo stesso modo...”
Spunta il primo raggio di sole dalla finestra aperta, illumina il comodino, le scarpe buttate in un angolo, una valigia accatastata a attaccapanni e cianfrusaglie dietro il mobile. È una luce tenue ma che si capisce calda, la prima luce di una potenza che deflagrerà e sarà nutrimento dei corpi per tutto il giorno. Azzurra come azzurra è la mattina, la mattina indifferente che non sa di essere azzurra. La mattina paziente.
***
“Andiamo a vedere l’alba...” dice l’uomo.
La finestra della camera dà sul giardino, c’è molta erba che alla luce fioca sembra grigia. In fondo ci sono gli alberi, meli e ciliegi, e il sentierino di ghiaietto. Si vede un orlo arancione all’orizzonte, la palla del sole che sta nascendo, il gioco delle nuvole viola e bruno scuro. La donna si appoggia alla spalla dell’uomo, gli cinge il fianco con il braccio, allunga il collo e lo bacia. Sente un sussulto.
“Vorrei continuare a vivere, ancora per un po', ho paura credo...”
“Continuerai a vivere...”
“Credo di no.”
“Continuerai...”
“Hai visto il sasso?”
“Quale sasso?”
“Quello grosso, dell’aiuola, quello...”
“Sì lo vedo, cosa c’è che non va?”
“Il cielo e il sasso, non ti sembrano, ma forse dico stupidate...”
“No, non le dici, cosa devono sembrare?”
“Il cielo e il sasso... la stessa cosa silenziosa...”
Il cielo sembrava veramente specchiarsi nel silenzio del sasso, un piccolo silenzio, un grande silenzio, una grande pazienza, la pazienza delle cose silenziose.
“Come sta la bicicletta?”
“È sgonfia...”
“Non importa, la gonfio io...”
L’uomo corre a gonfiare la bicicletta, a comprare le paste, passerà una mattina come tante, vedrà le paste mangiate in silenzio, la santa eucarestia. E silenziosamente aspetterà, con pazienza.
Mentre esce squilla il telefono di nuovo, ma l’uomo non se ne accorge.
*
L’autore
Alberto Garlini è nato a Parma nel 1969, vive a Pordenone. Ha pubblicato Una timida santità e Fútbol bailado per Sironi editore; “Tutto il mondo ha voglia di ballare” per Mondadori e, nel 2012, “La legge dell’odio” per Einaudi. È tra i curatori del festival letterario Pordenonelegge; ed è fautore del simposio di scrittura Pordenonescrive. Presiede la giuria del Premio Letterario Hemingway di Lignano Sabbiadoro. Il suo ultimo romanzo è “Il sole senza ombra”, ed. Mondadori, 2021. Ha pubblicato due raccolte di poesie (“Sottovetro” e “Le cose che dico adesso”) e il saggio “L’arte di raccontare” con Caterina Bonvicini.
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