Il commando e l’ultima statuetta di Ronaldo

Per una settimana 24 ex soldati tedeschi occupano un borgo lagunare. Inizia una surreale dittatura turistica, tra silenzi, applausi e krapfen

Marco ZatterinMarco Zatterin
Una statuetta di Ronaldo
Una statuetta di Ronaldo

I tedeschi arrivarono poco dopo l’alba e Simo capì subito che non erano turisti qualunque. Scesero da due furgoni elettrici Volkswagen, indossavano tute mimetiche fresche di sartoria. La giovane barista fu colpita dal passo cadenzato e marziale, insolito per il luogo e i tempi, soprattutto per un gruppo di uomini parecchio avanti nell’età eppure, a osservarli da lì, accomunati da una forma fisica invidiabile.

Portavano sulle spalle piccoli zaini, e sin qui niente da dire, ma quello che la fece sobbalzare e correre in cucina a chiamare Toni, il cuoco, furono le mitragliette leggere che stringevano in mano. Non aveva mai visto nulla di simile.

Qualche minuto più tardi, il bar-pizzeria La Serenissima fu il primo caposaldo-a-sua-insaputa a cadere in mano nemica, come fu chiaro quando si vide la bandiera dell’invasore sventolare sul tetto, vicino alla pubblicità scrostata del Café do Brasil.

Il commando del generale Haas era stato rapido. Mesi dopo, Simo ricorderà di averli contati – ventiquattro! – e assicurò che erano stati gentili, parlavano un ottimo italiano e avevano portato dei krapfen alla crema portentosi. Era terrorizzata, però. Certo che lo era. Si chiedeva cosa fosse quello scompiglio bellico, cosa volessero, se la sua vita fosse in pericolo. Sudava mentre tornava la voce della nonna che le gridava, nei fumi dell’età avanzata, “guardati dagli unni, guardati dagli unni!”.

Ora gli unni erano là. Conoscevano il passaggio sotterraneo che conduceva dalla pizzeria, un tempo Ufficio della Dogana, al borgo fortificato di Gorghezza. Furono lesti. Sparirono nella galleria, salvo uno che rimase di guardia all’ingresso, insieme con Simo e Toni che cercavano calma e conforto nei bomboloni supremi.

I negozi erano chiusi. I militi spuntarono nella piazzetta di Sant’Andrea, dove la squadra si divise e corse verso le quattro porte scavate nelle mura storiche. Alle sette serrarono gli antichi legni, e si disposero a pattugliarli col colpo in canna (dicevano). Il generale Haas si compiacque per l’efficienza dei suoi. Poi prese un vassoio di krapfen e andò cercare il sindaco.

La dottoressa Gemma Andreani, apprezzata dentista, lo accolse nell’aula consigliare in vestaglia e con la fascia tricolore sul petto. Dalla finestra scrutava la città deserta. I pochi turisti che il borgo poteva accogliere per la notte erano barricati in casa. Qualcuno pensò fosse un film. Gorghezza era un gioiello col bollino Unesco, la si visitava per la storia e le leggende, appena trecento abitanti, cinquecento in alta stagione, un piccolo municipio caduto in mano unna. Era già successo ottant’anni prima, accadeva di nuovo. Lì, nel cuore della Laguna, nell’avamposto del turismo di massa raggiungibile solo col traghetto. O con una modernissima schwimmwagen in grado di caricare due pulmini, prodigio del progresso.

“Arrendetevi e non vi accadrà nulla!”, intimò Haas con voce ferma.

La donna rispose a tono. “Perché siete qui? Ho chiamato i carabinieri, non finirà bene per nessuno. Voi… siete in pericolo! Non scherzo! Andatevene!”.

Il tedesco non fu impressionato. Invitò la sindaca a sedersi – “vuole un laccio di liquirizia?” – perché ascoltasse le sue ragioni.

Fuori, nelle strade di Gorghezza, volavano solo mosche, rimbalzando sulle saracinesche abbassate. L’abbaiare di un cane ruppe il silenzio e Haas cominciò la storia. Aveva fretta. Alle nove sarebbe arrivata la nave coi turisti di giornata e c’erano parecchie cose da fare.

“Mi chiamo Otto Haas, sono un generale in pensione della Wermacht. I miei uomini sono ex soldati dell’esercito federale. Mio padre era il capitano Haas, l’ultimo tedesco a lasciare la Laguna, nel 1945. Governò Gorghezza finché non fu tradito! Nell’anno e mezzo in cui difese le antiche mura non fu sparato un solo colpo, non furono applicate le leggi razziali. Mio nonno era prussiano, un consigliere di Bismarck, nella nostra famiglia alberga una profonda morale di Stato. Non concepiamo azioni prive di etica e coerenza”.

Gemma Andreani credette di comprendere, tuttavia non rinunciò alla domanda più ovvia, alla quale Haas reagì con naturalezza, dopo essersi passato una mano nei capelli ancora folti e biondi.

“Terremmo Gorghezza per una settimana. La amministrerò con giustizia senza ricorrere alla forza. Per sette giorni vi libereremo dal turismo di massa, dal cibo di plastica, e dalle statuette cinesi di Ronaldo. Non faremo entrare nessuno, terremo alla larga il vaporetto. Ci sono viveri a sufficienza. Inutile resistere. Dite all’Italia di non intervenire. Sarà una festa, poi andremo via. Ha la mia parola. La stessa che ho dato a mio padre pochi giorni prima che morisse”.

Per un attimo la sindaca si chiese se fosse fuori di testa. Haas era serio, aveva un tono pacato e sicuro. E lei, che odiava mangiare spaghetti camminando e pure le statuette cinesi di Ronaldo, oltre che gli unni, decise d’impulso di accettare. Prese in mano il documento che fissava le condizioni della resa concedendo pieni poteri ai canuti tedeschi. Lo firmò, ottenendo in cambio l’abbraccio dell’alto ufficiale. Quindi estrasse il cellulare e chiamò i carabinieri. “Restate a terra, lontani. Stiamo bene. Lasciateci fare. Non ci saranno incidenti, Ci penso io”. Poi si rivolse all’invasore: “Se riapre il bar, ci vuole un caffè”.

Furono giorni di serenità e, a loro modo, di straniamento e riscatto. Intorno a Gorghezza era arrivata la Marina, puntellata dalla Guardia di Finanza. Sui tetti tegolati volavano droni modernissimi; la cinta era vigilata dagli uomini di Haas che guardavano i San Marco accampati sulla spiaggetta in attesa di ordini.

Nelle vie del borgo, nessuna tensione, non un attrito o uno screzio. L’unico atto violento fu il rogo delle statuette di Ronaldo, simbolo del turismo eccessivo. Si mangiò sano, si bevve bene, si danzò a lungo. Il dj e rapper locale fu recluso nella suite dell’unico hotel. Le forze armate giunte in gran numero non attaccarono mai. A Roma, il Parlamento era diviso sul da farsi, in fondo erano cittadini comunitari e alleati Nato: la maggioranza espresse tre linee diverse che salirono a sei con quelle delle opposizioni.

Allo scadere del mese, la porta principale si aprì di buon’ora. La popolazione uscì composta e si dispose sul ciglio della stretta strada che conduceva al porticciolo, la stessa dove erano ancora parcheggiati i pulmini Volkswagen. Haas e i ventitré sfilarono sotto l’arco medievale con un sorriso serissimo che veniva da lontano. I gorghezzani applaudirono sventolando bandiere tricolori. Gli incursori italiani non fecero un passo davanti al sincero tripudio. Fissarono i crucchi montare sui minibus e poi sulla schwimmwagen che di lì a poco si perse nell’Adriatico, accolta pazientemente come un vecchio amico.

Gemma Andreani li salutò con la mano aperta levata al cielo e rientrò in città con i pochi che avevano vissuto quell’avventura. Dopo aver preso un caffè da Simo e Toni, lamentò la fine dei krapfen deliziosi. In seguito, nella quiete del suo ufficio, si chiese come avrebbe spiegato l’accaduto. Sentiva di aver imparato la lezione, una lezione a doppio taglio, è cioè che la quantità non è qualità, e i valori vanno difesi uno per uno. Incerta su come avrebbe potuto applicarla, diede fuoco all’ultima statuetta di Ronaldo rimasta in città.

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L’autore

La sua vera missione è unire i puntini. E il suo ultimo libro è un duello speciale: “Sherlock contro Dracula, vampiri a Baker street e altre storie” (Linea edizioni).

Giornalista e scrittore, Marco Zatterin (Roma, 1961) ha vissuto in una redazione dal 1982 e lavorato per La Stampa per trent’anni, come capo dell’Economia, corrispondente da Bruxelles per un decennio e vicedirettore. Scrive per i quotidiani Nem. Autore di numerosi saggi fra i quali Trafalgar (Rizzoli 2005), Il Gigante del Nilo (Oscar Storia, 2019) e Gli amici geniali (L’Erma, 2023). Appassionato di economia, geopolitica e temi europei, ha un debole per gli archivi, la storia, la letteratura di viaggio e il rock.

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