Olimpiadi, i ricordi di Zandonella: «Che notte a Grenoble assieme al Rosso volante»

Il comeliano Roberto Zandonella Necca vinse l’oro il 17 febbraio 1968 nel bob a quattro con Monti, Armano e De Paolis: «Iniziai da piccolissimo, ci sfidavamo con gli amici con dei mezzi costruiti in legno»

Ilario Tancon
Roberto Zandonella Necca con il suo bob che vinse l’oro
Roberto Zandonella Necca con il suo bob che vinse l’oro

Tra le tante medaglie bellunesi conquistate alle Olimpiadi invernali, più d’una è arrivata grazie agli atleti del Comelico. Nello sci di fondo, certo, con Maurilio De Zolt (argento nella 50 chilometri a Calgary 88 ed Albertville 92, oro in staffetta a Lillehammer 94 per il “Grillo” di Presenaio) e con Giuseppe Puliè (argento in staffetta ad Albertville 92) ma, qualche anno più indietro, anche nel bob.

Il merito è di Roberto Zandonella Necca, capace di vincere il metallo più pregiato ai Giochi di Grenoble nel 1968 nella gara del quattro. Nato a Dosoledo (Comelico Superiore) nel 1944, Zandonella è stato uno dei protagonisti dell’era d’oro del bob azzurro (al suo attivo anche un oro e un argento mondiali), contribuendo poi, prima al Centro sportivo della Forestale poi allo Sci club Nottoli di Vittorio Veneto (la città dove ora vive) a far crescere generazioni di atleti dello sci alpino.

Come avevi iniziato?

«La passione per il bob è nata fin da bambino, quando a Dosoledo davo vita a delle sfide insieme ad alcuni amici su dei mezzi costruiti in legno: due slittini uniti da listelli di legno con un volante. Avevamo un entusiasmo pazzesco, aspettavamo con ansia le notti invernali di luna piena quando il cielo sereno favoriva la formazione del ghiaccio e facilitava le discese. Tiravamo fuori i bob dai fienili e via a rotta di collo, sempre con l’ansia di essere scoperti dalla guardia comunale. Nel 1961 ho iniziato a lavorare a Cortina come meccanico, all’officina del Garage Sello, vicina alla pista da bob e alla sera, dopo il lavoro, rimanevo incantato a vedere le evoluzioni dei piloti. L’attività sportiva l’ho iniziata nel 1964, proprio con il Bob club Cortina».

Il primo titolo italiano è arrivato nel 1965, nella gara del quattro, insieme a tre atleti ampezzani: Gianfranco Gaspari, Bruno Menardi e Renato Zardini...

«Nel 1967, dopo aver svolto il servizio militare e dopo aver vinto un altro titolo italiano nel quattro – il pilota dell’equipaggio era nientemeno che Eugenio Monti - sono stato scelto per far parte dell’equipaggio dello stesso Monti per le gare preolimpiche. Quando mi hanno comunicato questa scelta, ho toccato il cielo con un dito. Eugenio era un grande uomo, umile, dalla sguardo penetrante. Il “Rosso Volante” era rigoroso, meticoloso, preciso. Per preparare una gara, disseminava lungo la pista i suoi fidati tecnici osservatori - a quei tempi non c’erano molte telecamere – per raccogliere informazioni su traiettorie ed errori. Non gli sfuggiva nulla».

Che notte a Grenoble.

«Alle Olimpiadi di Grenoble i bob Italiani arrivarono coperti sino all’ultimo momento con un telone per nascondere la novità progetta da Sergio Siorpaes, vale a dire una leva telescopica che usciva dal cofano che scompariva dopo l’utilizzo e permetteva al pilota di spingere in linea e non più di traverso appoggiato al centro del cofano. Questo fu il segreto che permise di guadagnare centesimi fondamentali, grazie al maggior supporto anche del pilota nella spinta iniziale».

Le gare a Grenoble si disputarono sull’impianto del mitico Alpe d’Huez.

«Io, Eugenio Monti, Mario Armano e Luciano De Paolis vincemmo l’oro con 9 centesimi sull’Austria. In molti ricordano l’oro ma in pochi ricordano quanto strana fu quella gara, rinviata più volte a causa delle temperature troppo alte. Gareggiammo di notte il 17 febbraio. Tornammo in albergo, poi di nuovo alla partenza a mezzanotte: altro tentativo a vuoto. Due ore dopo fu la volta buona. In pista c’eravamo solo noi atleti, i giudici e qualche giornalista. Il pubblico se n’era già andato».

Di ritorno andaste anche alla Domenica Sportiva.

«Andammo in macchina a Milano dopo una levataccia. Alla domanda su come ci sentivamo, Monti rispose: “Siamo stanchi e affamati”. Finita la trasmissione, stanchi e affamati, ci portarono al ristorante “all’Assassino” dove Nereo Rocco e il suo Milan stavano cenando». 

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