Alberto Tomba, l’oro del destino: «Vi racconto le mie Olimpiadi»
Il Festival di Sanremo, i trionfi, il mito di Calgary. La carriera dello sciatore azzurro più famoso (e vincente) di tutti i tempi si è tinta d’oro regalando pagine di storia indimenticabile

Alberto Tomba di trionfi olimpici ne sa qualcosa. Da Calgary ad Albertville, la carriera dello sciatore azzurro più famoso (e vincente) di tutti i tempi si è tinta d’oro regalando pagine di storia indimenticabile.
Successi rispolverati dallo stesso Albertone nazionale dal vecchio libro dei ricordi, conditi da una serie di aneddoti e curiosità che ancora oggi, a distanza di oltre trent’anni, fanno sorridere.
Calgary 1988, quando tutta l’Italia si fermò per festeggiare il suo trionfo olimpico.
«Si fermò nientemeno che il Festival di Sanremo. Probabilmente quella vittoria viene ricordata ancora oggi più per questo particolare del Festival di Sanremo che per la mia gara. Ma quella vittoria era scritta nel destino. Scesi col pettorale numero uno, ed a quei tempi i pettorali venivano sorteggiati. L’unico rammarico che ho, ancora oggi, è che quel pettorale mi venne rubato. Non so da chi, magari da qualche austriaco invidioso della mia vittoria (ride)».
Un successo che contribuì a portare uno sport non di prima fascia, a quei tempi, come lo sci, agli onori della cronaca.
«Vero, ricordo benissimo i giornali del giorno dopo. In prima pagina c’ero io, nessuna notizia sul calcio. Effetto molto strano. Questo a dire il vero successe poi diverse volte negli anni a seguire. Fu una soddisfazione. Oggi questo succede molto più spesso, segno che quegli sport considerati di nicchia, o comunque meno popolari di altri, hanno trovato una dimensione nell’immaginario popolare più giusta».
Da Calgary ad Albertville, dal 1988 al 1992.
«Nella città di Albert non poteva che vincere Albert (ride). Scherzo, ma fino ad un certo punto, perché anche dietro la medaglia d’oro olimpica del 1992 si cela una storia legata al destino. Che chiama in causa la mia amica Deborah Compagnoni. Anche lei vinse una medaglia d’oro in quella rassegna olimpica, nello stesso giorno in cui vinsi io. Anzi, fu proprio lei a darmi la giusta carica in vista della seconda manche. Debby aveva il pettorale numero 6 e con quello vinse l’oro. Vuoi sapere che numero di pettorale avevo io? Il 6. Seppi della sua vittoria poco prima di portarmi al cancelletto. Pensai subito: “Se ha vinto lei, devo vincere anche io, sai che trionfo per tutta l’Italia”. Andò esattamente così. Ed anche il giorno dopo, sulle prime pagine dei giornali, del calcio non c’era traccia».
Dalle Olimpiadi ai giorni nostri: che rassegna sarà Milano-Cortina 2026?
«C’è grande attesa, le aspettative sono giustamente alte. Sarà a mio avviso un successo sul fronte organizzativo. Parlando di sci, ricordo che come vengono preparate le piste in Italia, non succede da nessun’altra parte del mondo. Qui siamo maestri in questo, mi immagino gare perfette. Siamo un po’meno preparati sulla viabilità. Questo bisogna dirlo. Per raggiungere Cortina non è semplice. Bormio e Cortina, sedi delle gare di sci alpino, sono molto lontane tra loro. Impensabile immaginare una doppietta volendo tifare sia l’Italia maschile che quella femminile».
Per chiudere: riguardando indietro la sua carriera c’è qualcosa che non rifarebbe?
«Probabilmente non mi ritirerei così presto. Ci penso spesso, e sono arrivato alla triste conclusione che forse ho affrettato un po’ i tempi. In quel momento sentivo di essere arrivato, di non averne più; ma riflettendoci, oggi, sento che avrei potuto continuare a sciare fino ai quarant’anni».
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