Niente appello della Procura contro Turetta, Gino Cecchettin: «La guerra è finita, guardo avanti»
Con una nota il padre di Giulia commenta la decisione della Procura: «Non esiste una giustizia capace di restituire ciò che è stato tolto, ma esiste la consapevolezza che la verità è stata riconosciuta. Di lei ricordiamo la dolcezza, l’intelligenza, la voglia di vivere e di amare in libertà»

“Ieri (giovedì 6 novembre, ndr), con la decisione definitiva della magistratura, si è chiuso il percorso giudiziario legato alla morte di mia figlia Giulia. Non esiste una giustizia capace di restituire ciò che è stato tolto, ma esiste la consapevolezza che la verità è stata riconosciuta e che le responsabilità sono state pienamente accertate. Come padre, ho scelto da tempo di guardare avanti, perché l'unico modo per onorare Giulia è costruire, ogni giorno, qualcosa di buono in suo nome”.
Sono le parole che Gino Cecchettin, papà di Giulia, ha deciso di affidare a una nota. La lettera di un papà, che segue le parole di rabbia, sgorgate in questi due giorni, dopo la decisione della Procura di non impugnare la sentenza di primo grado, con la quale la Corte d’Assise di Venezia aveva condannato Filippo Turetta all’ergastolo, per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin.
Riconoscendo le aggravanti della premeditazione e del rapporto sentimentale, ma non degli atti persecutori e della crudeltà. Due circostanze delle quali, nel processo di primo grado, la procura e la famiglia di Giulia avevano chiesto il pieno riconoscimento.
Niente rabbia: «Continuare a combattere è un atto sterile»
Le parole di rabbia di questi due giorni, si diceva. Non da parte di papà Gino, che spiega: “Verrebbe naturale pensare di continuare a pretendere giustizia, di cercare ulteriori riconoscimenti della crudeltà o dello stalking. Ma continuare a combattere quando la guerra è finita è, in fondo, un atto sterile. La consapevolezza che è il momento di fermarsi, invece, è un segno di pace interiore e di maturità, un passo che andrebbe compiuto più spesso”.
Filippo Turetta, allora neanche 23enne, è stato condannato all’ergastolo il 3 dicembre scorso. Il processo d’appello sarebbe dovuto iniziare a giorni. Ma il primo a comunicare l’intenzione di rinunciarvi era stato lui stesso, facendo recapitare una lettera agli uffici giudiziari di Venezia, per spiegare le sue ragioni: la volontà di assumersi piena responsabilità di quanto fatto.
Di ieri, 6 novembre, la decisione della procura, di rinunciare a sua volta all’impugnazione, con la quale avrebbe chiesto il riconoscimento anche delle due aggravanti di stalking e crudeltà.
"Placare il dolore spetta a noi”
“Ma la giustizia ha il compito di accertare i fatti, non di placare il dolore. Quel compito spetta a noi: a chi resta, a chi decide di trasformare la sofferenza in consapevolezza e la memoria in responsabilità” spiega ancora Gino nella sua nota. Parole che sono specchio dell’attività che sta portando avanti con la fondazione nata nel nome della figlia, per aiutare le donne - tante, purtroppo - vittime di violenza.
“Giulia merita di essere ricordata non solo per la tragedia che l'ha colpita, ma per ciò che ha rappresentato: la sua dolcezza, la sua intelligenza, la sua voglia di vivere e di amare in libertà. Il dolore non si cancella, ma può diventare seme” scrive il suo papà. "Mi auguro che tutti impariamo a riconoscere e a respingere ogni forma di violenza, e che la cultura del rispetto diventi un impegno condiviso, nella quotidianità e nelle istituzioni. Solo così il sacrificio di Giulia potrà generare un cambiamento reale, profondo, duraturo. Ringrazio di cuore tutti coloro che, in questo cammino difficile, mi sono stati accanto con rispetto, discrezione e affetto. L'amore per Giulia continuerà ad accompagnarmi, come una guida silenziosa, ogni giorno della mia vita”.
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