Gino Cecchettin: «Due anni di dolore senza Giulia. Stalking, importante formare i giudici»

Il papà della ragazza uccisa da Turetta: «Volere giustizia a ogni costo viene d’istinto. Ma ci sono sofferenze che non si allevieranno mai, nessuna pena mi ridarà mia figlia»

Laura Berlinghieri
Papò Gino Cecchettin con Giulia
Papò Gino Cecchettin con Giulia

Due anni, oggi, senza sua figlia Giulia. Gino Cecchettin, come sono passati?

«Sono passati nel dolore. A volte velocemente, altre con lentezza. Non saprei spiegare come è avanzato il tempo. Sembra ieri che riuscivo a parlare con Giulia, invece sono già trascorsi due anni. Di sicuro ogni giorno ha la sua dose di dolore, alle volte anche molto intensa. Però c’è anche la gratitudine per aver vissuto con lei».

Saputo che nemmeno la procura avrebbe impugnato la sentenza di primo grado di condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, in una lettera, lei ha scritto che “la guerra è finita”. Cosa voleva dire?

«Volere giustizia a tutti i costi viene d’istinto. Ma esistono dolori che non si allevieranno mai, con nessuna pena. Non ci sarà mai sollievo, Giulia non tornerà indietro. Ostinarsi a combattere, chiedendo il riconoscimento di stalking e crudeltà, sarebbe giusto. Ma significherebbe andare avanti ancora per due, tre anni di processi: anni di sofferenze, altri anni pesantissimi. E per cosa? C’è già stata una condanna all’ergastolo. È giusto fermarsi e indirizzare le energie verso quello che serve davvero. Restare collegati alle cose che creano valore».

Sua figlia Elena aveva urlato la sua rabbia dopo il mancato riconoscimento dello stalking. Non sarebbe opportuna rivedere il reato, proprio sul piano giuridico?

«Io non ho studiato Legge e non ho le competenze per giudicare. Però faccio mie le parole di esimi procuratori e presidenti di tribunali, secondo i quali servirebbe fare formazione anche negli ambienti della magistratura. Perché i tempi sono cambiati ed è importante adeguarsi a una società che cambia. Non si può ragionare con gli stessi modelli del secolo scorso. Serve un passo diverso nel linguaggio, nella considerazione di certi reati e nell’applicazione delle pene».

Sempre Elena è stata la prima a parlare apertamente di società patriarcale. Lo è?

«Lo è. Lo raccontano le violenze, i femminicidi, i fatti di cronaca anche di quest’ultimo anno. Il patriarcato è lontano dall’essere sconfitto; è radicato negli usi, nel linguaggio, negli stereotipi sessisti che fanno parte della nostra quotidianità. Se, dal punto di vista legislativo è stato fatto abbastanza, non è lo stesso se si guarda fuori dal recinto delle leggi: il nostro humus educativo non si è affrancato dal modello del maschio dominatore».

Come reagiscono i genitori, di fronte ai progetti educativi della fondazione?

«È la categoria più difficile da intercettare, perché i genitori che prendono parte ai nostri incontri sono già virtuosi. Per questo è importante rivolgersi al pubblico “largo” delle aziende. Parlando con lavoratori che, tendenzialmente, hanno una famiglia, e che possono essere veicolo di educazione».

Un anno di vita della fondazione Giulia: cosa l’ha resa più orgoglioso?

«Tutte le donazioni che stiamo mettendo a frutto, con tanto impegno. I moltissimi progetti di formazione nelle aziende e nelle scuole, a partire da quelli con gli insegnanti degli istituti dell’infanzia e primari; le lezioni di educazione all’affettività e alla sessualità, che ci vengono chieste dai dirigenti. Il centro antiviolenza che abbiamo aperto a Roma, grazie alla partnership con l’associazione Fondazione donna. E poi la formazione degli operatori della polizia di Stato».

Qualcosa che l’ha sorpresa?

«Mi colpiscono sempre l’accoglienza dei ragazzi e la loro partecipazione. Chiedono un futuro diverso, e per me è un’emozione che si rinnova ogni volta. E poi le testimonianze delle ragazze, che, grazie a Giulia, hanno trovato la forza di denunciare. Si sono salvate».

Lei cosa augura ai suoi figli?

«Tanta felicità. E di realizzarsi, nello spirito di Giulia: senza essere prevaricanti nel modo di fare, di agire, di pensare».

Come sono i vostri momenti, quando parlate di lei?

«Abbiamo i nostri momenti di dolore. Ma spesso, quando parliamo di lei, lo facciamo con il sorriso. Perché Giulia ci ha dato tanto, molte gioie. Era una persona che curava e noi abbiamo il dovere di ricordarla con uno spirito di felicità, perché è questo il modo giusto di vedere le cose. Siamo addolorati per quello che abbiamo perso, ma grati per quello che Giulia ci ha dato». —

 

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