Coraggio e visione oltre i pregiudizi: così Elvira Bortolomiol ha portato le donne ai vertici del Prosecco

Imprenditrice del vitivinicolo, alla guida di un’azienda tutta al femminile: «È stata una sfida ardua, abbiamo fatto squadra e i risultati sono arrivati». E sui vini dealcolati: «La generazione Z si avvicina al vino solo in gradazione più bassa: va tenuto presente»

Sabrina Tomè
Elvira Bortolomiol nel ritratto di Massimo Jastosti
Elvira Bortolomiol nel ritratto di Massimo Jastosti

Laureata in materie agrarie e forestali, Elvira Bortolomiol è vicepresidente e ceo dell’omonima casa spumantistica e si occupa dell’area commerciale e marketing della cantina nel cuore della Denominazione del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene Docg, sviluppando progetti legati alla sostenibilità sociale, economica e ambientale.

Le altre cariche: membro Cda Federvini, del Consiglio generale di Confindustria Veneto Est, del consiglio direttivo The Grand Wine Tour, past presidente del Consorzio di Tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, past president Sistema Prosecco.

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La redazione

Una storica e prestigiosa azienda vitivinicola, la Bortolomiol, guidata da 4 donne. I più alti livelli del distretto del Prosecco, eccellenza nazionale, rappresentati per anni da una donna, Elvira Bortolomiol. Tutto questo in Italia, dove i vertici al femminile sono una rarità. Non pare vero.

«È tutto vero. Ed è stato possibile grazie a una certa tenacia. Sono arrivata alla presidenza del Consorzio e a quella del sistema Prosecco dopo aver fatto la vice. Quindi conoscevo bene le tematiche e le problematiche da risolvere. Maturare questa esperienza ha favorito il potersi esprimere a livello di presidenza. Il fatto che mio padre sia stato un pioniere nell’ambito delle colline diventate patrimonio Unesco, mi ha poi aiutato. Sicuramente non era facile riuscire ad approdare a questi sistemi. Le difficoltà ci sono state, le ho trovate all’interno dei cda di cui ho fatto parte».

Anche nella sua azienda?

«Quando mio padre se ne è andato, nel 2000, abbiamo affrontato noi sorelle con mia mamma questa situazione. Un’azienda con cinque donne alla guida non pareva possibile. È stata una sfida ardua e impegnativa e con mamma, donna molto tenace, abbiamo fatto squadra, ci siamo spartite i ruoli dentro l’azienda e i risultati sono arrivati. A tutt’oggi la nostra è una delle poche aziende tutta al femminile nell’area della denominazione. Il nostro obiettivo è stato di investire sulla sostenibilità: questa è stata la nuova visione portata come figlie di Giuliano».

Suo padre era un uomo di un’altra generazione: aveva progetti diversi per il vostro futuro o vi ha subito immaginato alla guida dell’azienda?

«Ha creduto in noi, aveva una mentalità lungimirante e aperta: mamma è stata sempre al suo fianco come braccio destro. E aveva già inserito mia sorella maggiore in un ruolo molto importante in azienda».

Il resto ce l’ha messo lei. Come si arriva ai vertici di ambiti tradizionalmente maschili?

«Ho lavorato molto sulle mie intuizioni e sulla capacità di vedere più lontano; non basarsi solo sulla situazione del momento ma cogliere i segnali del tempo, dell’evoluzione e affrontarli con mente molto aperta. Mi sono lasciata alle spalle tutti i pregiudizi e ho voluto andare avanti con coraggio. Ecco, questo sì: ci vuole il coraggio di affermare le proprie convinzioni e intuizioni».

Da bambina pensava che avrebbe fatto esattamente questo o aveva altri sogni?

«Ho sempre seguito le orme di papà: mi piaceva il mondo del vino e dell’agricoltura. Però la mia idea era di vedere prima il mondo fuori. Così ho iniziato a lavorare in contesti internazionali, ero giovane e volevo salvare la foresta amazzonica. Sono andata a lavorare per organismi internazionali, in America Latina dove richiedevano sia preparazione tecnica che capacità di mediazione diplomatica per proporre a questi governi lavori che permettessero il mantenimento di ecosistemi forestali e agricoli ».

Poi ha lasciato la foresta ed è tornata tra le sue colline.

«A un certo punto papà mi chiese di rientrare, lo feci dopo qualche titubanza. Ma tutta l’esperienza accumulata l’ho riportata nella mia famiglia e nel mio territorio. Questo background mi ha aiutato moltissimo anche per sviluppare le tematiche della denominazione».

“Un modo orgoglioso ma anche costruttivo per dire che il mondo del vino sta cambiando e questa rivoluzione è rosa”, c’è scritto nel sito della Bortolomiol. In cosa consiste la rivoluzione rosa, intesa anche all’esterno dell’azienda?

«La rivoluzione parte da situazioni in cui era ancora difficile affermare un’azienda al femminile. Quindi all’inizio si trattava di superare un momento particolarmente sfidante e poi di affrontare le tematiche concrete incontrando i viticoltori, i clienti. Occorreva far capire loro che una donna era in grado di fare quello che fino a quel momento aveva fatto nostro padre. Abbiamo lavorato sui valori: i legami profondi con la nostra terra, con la nostra tradizione. Valori che il mondo femminile sente più forte, come la maggiore sensibilità, la cura dello stile».

Veniamo ai problemi: i dazi. A che punto siamo?

«La proposta dei dazi è partita da Trump proprio nel momento del Vinitaly che pertanto è stato difficilissimo. L’argomento era solo quello: come salvarci. Oggi c’è stata una sospensione di tre mesi e anche il mercato Usa si è sbloccato e in qualche maniera è ripartito. Noi imprenditori, proprio a Vinitaly, ci siamo messi a disposizione degli importatori cercando di capire insieme a loro la mediazione più corretta. Certo, siamo ancora in sospeso, non sappiamo quale sarà il futuro».

Arrigo Cipriani si è detto ottimista sui dazi. Condivide?
«Sono parzialmente ottimista perché sto vedendo l’evoluzione di Trump che mi sembra stia andando verso soluzioni sempre più di mediazione che di scontro: ha capito che certe situazioni di mercato danneggiano più loro che noi».

Anche di fronte a queste politiche, la monocoltura del Prosecco può essere un rischio sotto il profilo economico?

«No, non lo è. Qui ci troviamo nelle colline più antiche della produzione del Prosecco superiore. Valdobbiadene ha sempre avuto la capacità di esprimersi sul mercato e di essere valorizzato, fin dalla fine della Seconda Guerra, con il metodo Martinotti per la produzione del Prosecco superiore. Le tappe sono state importanti: siamo passati dalla doc alla docg nel 2009, poi il riconoscimento a livello internazionale di un’area che ha un suo sigillo. E quindi il marchio Unesco. Il prodotto ha prerogative di territorialità e storicità che non potranno essere confuse con altre zone. Poi c’è stata crescita del valore del prodotto, della capacità dei mercati internazionali di riconoscere i grandi crue come le rive, i cartizze, le selezioni. E c’è stata la crescita dell’aspetto della sostenibilità».

La sostenibilità, appunto.

«Grossissimo argomento. Il consorzio realizza ogni anno un protocollo di gestione sostenibile del vigneto, lavora con gli aspetti più importanti dell’agrometeorologia. Ha tutelato le colline da problemi fitosanitarie come la flavescenza, è riuscito a mantenere una viticoltura eroica, si pensi ai ciglioni erbosi. Ci sono progetti importanti sul raccoglimento delle acque e sul cambiamento climatico, collaborazioni con l’Università. C’è tanto lavoro e tanta squadra. E ci sono i produttori che ci tengono tantissimo alla tutela del territorio. È in crescita l’enoturismo, c’è un cammino di 50 km per visitare le colline attraversandole. Non manca veramente nulla per quanto riguarda la capacità di accogliere i visitatori. Le 210 aziende dell’area hanno investito sempre di più nella ristrutturazione delle proprie casere facendone dei tasting center. È un comparto importante che aiuterà la sostenibilità».

Nuove tendenze: vini dealcolati. Una bestemmia?

«La tendenza è molto forte negli Usa e in Germania e noi produttori dobbiamo confrontarci anche con questo. La generazione z si avvicina al vino solo se lo riesce a trovare in una formula di alcolicità più bassa. È un tema da capire e da affrontare, anche perché i giovani stanno entrando nella gestione delle aziende». 

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