La scienziata Viola: «Il test di Medicina? Una farsa. Il ministro Bernini si scusi»

L’immunologa padovana Antonella Viola si schiera contro la riforma dell’accesso: «La formazione medica è cruciale per il Paese. L’esame mnemonico oggi è fuori luogo, è una funzione che si è indebolita perché i ragazzi non sono stati allenati»

Rocco Currado

«Una farsa lesiva sia sul piano emotivo che su quello economico. La ministra Bernini dovrebbe chiedere scusa». In un post sui social Antonella Viola, scienziata, divulgatrice e docente di Patologia generale al Bo, ha espresso toni durissimi sulla riforma dell’accesso a Medicina.

Professoressa, perché la considera un fallimento annunciato?

«Di certo non mi aspettavo risultati così insufficienti, ma non ho mai nascosto la mia opposizione. L’obiettivo era superare il test d’ingresso, ritenuto inadeguato, ma è stato sostituito con un test peggiore, spostato solo di due mesi: con più ansia per gli studenti, più costi per le famiglie. Un esperimento fatto sulla pelle dei ragazzi. Spostare il “quizzone” non cambia nulla. Inoltre il vecchio sistema era collaudato, questo rischia difformità di valutazione e una valanga di ricorsi. Soprattutto, non risolve il vero problema: che non è l’ingresso, ma la mancanza di vocazione. Questa riforma è uno slogan politico: non si è voluto davvero cambiare le cose».

L'immunologa Antonella Viola
L'immunologa Antonella Viola

Lei parla di una sperimentazione fatta in tempi strettissimi e con risorse minime. Due mesi e mezzo di corsi sono troppo pochi?

«Non solo. I colleghi dell’amministrazione hanno dovuto fare un lavoro pazzesco per organizzare questo bimestre filtro, fatto di corsa e con pochi mezzi. E dal punto di vista didattico, due mesi sono pochissimi per fare la differenza. Alla fine non c’è nessuna differenza rispetto al test di una volta».

Alcuni suoi colleghi sostengono che un buon studente di quarto liceo avrebbe potuto rispondere a molte domande del test.

«Non entro in polemica con Roberto Burioni, ma questo poteva valere per noi studenti di una volta. Oggi c’è un cambiamento profondo. Noi siamo cresciuti in un mondo in cui la memoria era un valore centrale. Imparavamo poesie a memoria, date storiche, definizioni, formule. La memoria oggi è stata esternalizzata: telefoni, motori di ricerca, dispositivi digitali. Se una funzione non viene esercitata, si indebolisce. A questo si aggiunge un cambiamento profondo della scuola. Negli ultimi decenni i testi scolastici sono diventati progressivamente più semplici. Io ne sto scrivendo alcuni e posso assicurare che il lessico si è impoverito, la complessità sintattica è stata ridotta per facilitare l’apprendimento, si è lavorato molto meno sulla lettura lunga e sulla comprensione di testi complessi. Il risultato è che molti ragazzi faticano non tanto a studiare, quanto a decodificare un testo articolato, a tenere insieme più informazioni, a recuperare rapidamente nozioni apprese. Non perché non abbiano voglia, ma perché non sono stati allenati a farlo. Quando poi li sottoponiamo a prove che richiedono recupero mnemonico rapido, familiarità con un linguaggio tecnico, capacità di concentrazione prolungata, stiamo chiedendo competenze che il sistema stesso ha smesso di coltivare».

Il mondo accademico avrebbe dovuto farsi sentire?

«Sì. Abbiamo sbagliato per distrazione o per codardia. Qualcuno temeva di inimicarsi la politica, ma non è una questione personale. Bisognava dire chiaramente che non avrebbe funzionato. Oggi voglio dire alla ministra: è stato un errore. E quando si commette un errore, chiedere scusa è buon senso, soprattutto se si ricopre un ruolo pubblico».

L’università può avere paura di inimicarsi la politica?

«Non dovrebbe assolutamente, come istituzione università. Ma io parlo anche delle singole voci, soprattutto di chi è più esposto. Un documento forte, forse anche uno sciopero, avrebbero potuto evitare questa situazione».

Coloro che criticano la riforma possono essere considerati «sempre e solo dei poveri comunisti»?

«Non ha senso commentare questa frase. Posso provare a darmi una spiegazione: probabilmente la ministra era sotto stress, e quando siamo sotto stress il cortisolo sale e la corteccia esterna viene inibita: si possono dire stupidaggini».

In queste settimane si parla di contromisure per evitare che gli idonei siano meno dei posti disponibili: una delle ipotesi è ammettere tutti coloro che hanno sostenuto il test, con un debito formativo iniziale. È una soluzione sostenibile?

«No, perché non abbiamo le aule. Non vorrei che fosse un modo per spingere verso università telematiche e private. Ammettere tutti costringe necessariamente ad andare verso lezioni online. Siamo assolutamente contrari: la didattica a distanza è tutt’altra cosa. Non capisco se ci sia un progetto lucido e questo scenario mi preoccupa molto. La formazione medica è cruciale per il benessere del Paese». 

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