Stop ai rischi nell’alternanza scuola-lavoro, i genitori di Parelli: «La morte di Lorenzo ha aperto gli occhi»
Maria Elena Dentesano e Dino Parelli: «La tragedia si poteva evitare, l’azienda non era adeguata. I ragazzi pur non essendo in aula non devono essere considerati lavoratori»

«Lorenzo ha aperto gli occhi a tutti». Maria Elena Dentesano e Dino Parelli, i genitori di Lorenzo Parelli, lo studente diciottenne di Morsano di Strada, località di Castions di Strada, morto, più di tre anni fa, in fabbrica nel suo ultimo giorno di stage, lo affermano con il nodo alla gola pur apprezzando la riforma dell’alternanza scuola-lavoro che raccoglie gli indirizzi della Carta di Lorenzo, il manifesto con cui i Parelli promuovono la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Lo fanno con impegno e determinazione non senza chiedersi però «perché non è stato fatto prima? Perché le norme arrivano sempre dopo gli incidenti mortali quando è troppo tardi?». Non c’è una risposta, c’è solo la certezza che «anche un minuto dopo è troppo tardi».
Come giudicate la riforma approvata dal Consiglio dei ministri?
«La troviamo, come tutte le altre norme approvate finora, in linea con la Carta di Lorenzo. È estremamente necessaria, la riforma è l’esito di questa evidenza».
I percorsi di alternanza scuola lavoro sono ancora validi?
«Lo sono sempre stati e l’abbiamo sempre sostenuto, ma questo non può e non deve consentire di associare alla formazione le esperienze a rischio. L’esclusione dai percorsi di alternanza scuola-lavoro delle aziende che svolgono attività a rischio è assolutamente adeguata».
L’attività svolta dall’azienda che aveva accolto Lorenzo poteva rientrare tra quelle pericolose?
«Quell’azienda non era adeguata per accogliere gli studenti. Lorenzo in fabbrica svolgeva la stessa attività dei lavoratori. Come accade spesso nei programmi di stage svolti in Italia, Lorenzo sostituiva anche gli operai assenti per malattia».
È mancato il controllo?
«Forse l’azienda andava monitorata e studiata meglio per capire se aveva gli standard minimi per accogliere i ragazzi. In quel momento, in termini di sicurezza e di comportamenti, non era adeguata, non era ospitante. Lorenzo ha aperto gli occhi a tutti con l’esito che sappiamo. Da allora queste esperienze vengono approcciate in modo diverso».
Quanto pesa il ruolo della scuola?
«Pesa parecchio soprattutto nella selezione delle aziende con cui stipulano le convenzioni e nel controllo dell’attività prevista nei luoghi di lavoro. I ragazzi impegnati nei percorsi di alternanza scuola lavoro e duali, come nel caso di Lorenzo, pur non essendo in aula non devono diventare lavoratori. Devono rimanere studenti in formazione».
L’esclusione dalla formazione delle attività pericolose e l’estensione della copertura assicurativa sono azioni sufficienti per garantire più sicurezza?
«Sono azioni necessarie. È complesso stabilire il limite per considerarle sufficienti. Le norme vanno di pari passo con la cultura della sicurezza».
Non bisogna mai smettere di fare di più?
«È necessario stare sul pezzo, adeguare le norme a tutti i cambiamenti in atto, compresi quelli contrattuali e tecnologici, per promuovere la filosofia del miglioramento continuo soprattutto in presenza di studenti che, lo ribadiamo, non sono lavoratori».
Il ruolo del tutor andrebbe modificato?
«Come abbiamo scritto nella Carta di Lorenzo i due tutor, scolastico e aziendale, sono figure fondamentali nell’alternanza scuola-lavoro. I tutor devono affiancare costantemente lo studente e confrontarsi tra di loro. Su queste due figure va investito parecchio, non a caso la Regione ha avviato i corsi sperimentali per la formazione specifica dei tutor. Il tutor scolastico, a esempio, deve monitorare l’azienda per capire se quello che è stato scritto sulla carta corrisponde al vero e se la stessa azienda mette in atto le azioni corrette per garantire la sicurezza. Serve un monitoraggio iniziale, in itinere e finale. Nel caso di Lorenzo, considerando l’attività ad alto rischio, se la ditta fosse stata monitorata meglio poteva andare diversamente».
Spesso gli studenti criticano l'alternanza scuola-lavoro, condividete queste tesi?
«L’alternanza è nata almeno 20 anni fa ed è stata attuata senza una cornice normativa, soprattutto per quanto riguarda la tutela e la sicurezza degli studenti. Non lo diciamo noi, lo hanno dimostrato gli incidenti. Anche questa riforma arriva in ritardo, all’avvio anziché introdurre una visione più ampia è stato concesso a scuole e aziende la libertà di organizzarsi per perseguire, ognuna, i propri obiettivi. Questo non significa bocciare l’alternanza scuola-lavoro, significa prevedere un percorso con cognizione di causa. Oggi sarebbe sbagliato dire “lasciamo perdere tutto” ».
Nell’analizzare la riforma vi siete detti: è troppo tardi?
«Ce lo siamo detti il giorno dopo la tragedia. È sempre troppo tardi»,
La morte di Lorenzo si sarebbe potuta evitare?
«Certo che si sarebbe potuta evitare. Gli strumenti c’erano e ci sono, vanno applicati. Invece prevale la legge del mercato: anziché procedere per gradi i risultati devono arrivare immediatamente e le riforme arrivano sempre dopo le tragedie».
Siete in contatto con i familiari degli altri studenti morti sul lavoro?
«Ci sentiamo periodicamente».
Vi aspettavate il riscontro ricevuto dalla carta di Lorenzo?
«Non ce l’aspettavamo. Non vogliamo sembrare presuntuosi, ma dalla Carta di Lorenzo è cambiato molto. Dopo la morte di Lorenzo volevamo stimolare un dibattito, una riflessione sul tema della sicurezza. La Regione ci ha supportato, proponendoci di lavorare a una Carta su cui poteva impegnarsi anche la politica. La Carta continua a essere adottata e sottoscritta e va bene così. Sarebbe bello che il nostro impegno non servisse più».
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