Lo strano caso dei puzzle dell’Uomo vitruviano: Ravensburger potrà continuare a produrli
La corte d’Appello di Stoccarda dà ragione al colosso di giocattoli e sconfessa il tribunale di Venezia: l’azienda non dovrà pagare alle Gallerie dell’Accademia i diritti per la commercializzazione dei gadget con l’opera

Dopo il tribunale ordinario, arriva l’affondo della Corte d’appello. Stoccarda riconferma la sentenza dell’aprile dello scorso anno e dà di nuovo ragione a Ravensburger: i puzzle che riproducono l’Uomo vitruviano potranno essere ancora prodotti e venduti, se non altro fuori dall’Italia - e, nell’era del commercio online, anche quel distinguo territoriale ha il sapore di una sconfitta.
La vittoria dell’azienda tedesca, specializzata proprio in giochi da tavolo, va infatti a discapito delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, che custodiscono il famosissimo studio anatomico di Leonardo da Vinci e che da anni si sono lanciate in una battaglia legale internazionale per farsi riconoscere una parte degli introiti ricavati dalla commercializzazione dell’opera.
Ravensburger ha realizzato e messo nei negozi il suo puzzle che raffigura il disegno leonardiano nel 2009, ma non ha mai versato un euro alle Gallerie, come prevederebbe il codice dei beni culturali italiano (che parla anche della necessità di un’autorizzazione da parte del ente custode, anche questa mai richiesta dai tedeschi).
Per questo il direttore del museo lagunare, Giulio Manieri Elia, assistito dall’avvocatura dello Stato, oltre due anni fa si era mosso contro l’azienda tedesca e le sue controllate, portando il caso davanti al tribunale civile di Venezia; qui le Gallerie avevano avuto soddisfazione: era stata emessa un’ordinanza che vietava a Ravensburger di continuare con la produzione e la vendita.
La decisione dei giudici veneziani costituiva un precedente importante, proprio perché estendeva lo stop anche all’estero e ai canali online, tanto che Manieri Elia aveva annunciato l’intenzione di continuare sulla stessa strada e andare all’assalto anche di tazze, magliette e souvenir non autorizzati - insomma, una battaglia campale contro il merchandising, di fatto aggredendo un mercato multimilionario.
Ravensburger e soci, però, non hanno certo incassato il colpo in silenzio e, anzi, hanno avviato una controcausa a Stoccarda, che ha finito per dare ragione a loro. «Ogni ordinamento giuridico nazionale è limitato al rispettivo territorio nazionale», recitava il verdetto, «Questo principio di territorialità è generalmente riconosciuto dal diritto costituzionale internazionale ed è espressione della sovranità di ciascuno Stato. Ciò significa che una legge italiana, come questa per la tutela del patrimonio culturale, è valida solo sul territorio italiano».
La sentenza d’appello, definita nelle scorse ore a Stoccarda, non ha ribaltato la decisione: il ricorso del ministero della Cultura italiano e delle Gallerie dell'Accademia è stato respinto con perdite, anche se è ancora possibile portare il caso davanti alla corte di Cassazione tedesca.
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