Promosso matematicamente dopo gli scritti, studente rifiuta di fare l’orale di maturità: diplomato

Il giovane studente Gianmaria Favaretto, del liceo scientifico Fermi di Padova: «Il sistema di valutazione non rispecchia la reale maturità. Ho preferito usare la mia testa, piuttosto che adeguarmi ad un sistema che non condivido»

Marta Randon e Felice Paduano
Gianmaria Favaretto, del liceo scientifico Fermi di Padova
Gianmaria Favaretto, del liceo scientifico Fermi di Padova

Si è presentato all’orale, si è seduto di fronte alla commissione, ha firmato e ha detto: «Signori grazie di tutto, ma io questo colloquio di maturità non lo voglio sostenere. Arrivederci».

Sì, si può. Lo permette l’Ufficio scolastico provinciale, il Ministero. La bocciatura non è automatica. Gianmaria Favaretto, 19 anni, ormai ex studente del liceo scientifico “Fermi” di Padova aveva fatto i calcoli.

Per avere la sufficienza gli bastavano i voti dei crediti accumulati durante l’ultimo triennio (31) e dei due scritti, andati bene (17 punti nel tema, 14 in matematica). Totale 62. «Credo di essere il primo che fa una cosa del genere al Fermi», racconta il 19enne, giocatore di rugby.

In realtà, dietro ai freddi calcoli e ad una scelta che può sembrare svogliata e poco matura ci sono un pensiero, una presa di posizione, determinazione e coraggio.

Gianmaria, perché questa scelta?

«L’esame di maturità per me è una sciocchezza».

Perché?

«Trovo che l’attuale meccanismo di valutazione degli studenti non rispecchi la reale capacità dei ragazzi, figuriamoci la maturità».

Il problema sono i voti?

«I voti da alcuni alunni vengono vissuti malissimo. In classe c’è molta competizione. Ho cominciato a rifletterci vedendo le reazioni di alcuni compagni: come vivevano la cosa, senza capire che cosa significasse davvero un voto. Erano estremamente attaccati al risultato, diventando addirittura cattivi. Forse è il carattere, i professori, le pressioni della famiglia. Non so».

I professori della commissione come hanno reagito al suo rifiuto di sostenere l’orale?

«All’inizio erano stupiti, soprattutto i professori interni, quelli che mi hanno seguito negli anni. Ho spiegato le mie ragioni».

Le hanno capite?

«La presidente (esterna, ndr) è stata rigida, mi ha detto che non sostenendo l’orale insultavo il lavoro dei docenti che avevano corretto i miei scritti. Cosa che comunque dovevano fare. Ha aggiunto che avrebbe considerato le mie prove scritte in bianco. Naturalmente non poteva farlo».

Si è alzato ed è andato via?

«No, c’è stato un confronto, soprattutto con i professori che mi conoscevano».

Come studente, durante i cinque anni di superiori, si è sentito capito?

«No. Se un ragazzo ha una coscienza capisce dai suoi errori. Pensiamo ad una verifica: se è andata male e un alunno capisce dove ha sbagliato e perché ha sbagliato la volta dopo farà meglio. Se la prova è buona sarà invece soddisfatto di se stesso. Io in terza sono stato bocciato, mi è servito per maturare, sbagliando si impara, bisogna studiare soprattutto per cultura personale, per trovare un posto nel mondo. Anche nella conciliazione scuola-sport non c’è stata comprensione».

Quando ha preso la decisione di non sostenere l’orale?

«Ho cominciato a pensarci durante la quinta superiore. Ho provato ad impegnarmi secondo le regole che impone la scuola. La prima parte dell’anno ho preso bei voti, poi ho raggiunto il mio limite di sopportazione. C’era qualcosa di sbagliato nel sistema. La decisione l’ho presa all’ultimo».

L’esame di maturità si fa un volta nella vita. Non crede che avrebbe dovuto viverla al meglio delle due possibilità?

«Da un lato capisco che possa essere una prova interessante dimostrare il proprio valore di fronte a dei docenti che non conosci. Ma perché dovevo fare una cosa solo perché la fanno tutti? Ho preferito usare la mia testa e prendere le mie responsabilità. Posso imparare di più dai miei errori che da un sistema che non condivido».

I suoi genitori lo sapevano?

«No, hanno visto il risultato finale. Ho spiegato loro come la penso. Sono stati comprensivi. Ne avevo parlato solo con alcuni amici. Ho detto: “Non entrate, ci metto poco».

Ma poi, in fin dei conti, lei il colloquio l’ha sostenuto.

«Mi hanno trattenuto. C’è stato un confronto, mi hanno chiesto che cosa mi è piaciuto del programma. Sarei voluto uscire subito, ma non volevo creare problemi. Mi hanno anche dato 3 punti. Sono uscito con 65. Ora mi aspetta l’università». 

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