La Corte Ue sdogana i matrimoni gay: cosa prevede la sentenza
Le conseguenze in tutti gli Stati dell’Unione europea: «Riconoscere i matrimoni contratti all’estero». Creato un importante precedente: ecco cosa cambia

Farà discutere, ma è una sentenza lineare quanto prevedibile. La Corte di Giustizia europea ha stabilito che uno Stato membro non può rifiutare la trascrizione di un matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato in un altro Paese dell’Unione.
La massima magistratura comunitaria ritiene che, qualora questo accadesse, si violerebbero i sacri principi della libertà di movimento dei cittadini e il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare.
In altre parole, una coppia di uomini (o donne) che si sia sposata a Parigi, e si trasferisca a Milano, deve poter godere di un trattamento legale almeno in linea con quello di cui godrebbe nella città di origine. Anche se, affermano i giudici di Lussemburgo, ciò non vuol dire che sia obbligatorio prevedere nell’ordinamento nazionale i matrimoni Lgbt; la disciplina in materia, dicono i Trattati, è nella piena sovranità delle singole capitali.
Per l’Italia è una questione aperta. Al momento sedici dei ventisette partner dell’Ue hanno legalizzato la formalizzazione dei legami fra persone dello stesso sesso –Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia. Da noi, no. Nella migliore delle ipotesi, si ricorre a trascrizioni con la formula dell’unione civile.
Esiste una tendenza di fondo, politica e sociale, al rifiuto delle coppie non eterosessuali che deriva anche da una omofobia diffusa. Ci fu già polemica nel giugno 2018, quando la Corte stabilì che partner dello stesso sesso potevano vivere insieme ovunque nell’Unione, anche nei Paesi che non riconoscono il loro legame. Sette anni più tardi, il nuovo capitolo: la portabilità dei diritti non può essere limitata dall’orientamento sessuale.
L’origine del pronunciamento
Il pronunciamento della Corte ha origine in Polonia, dove gli omosessuali non possono convolare a nozze. La questione deriva dal ricorso di due polacchi che soggiornavano in Germania (uno possedeva anche cittadinanza tedesca) e che nel 2018 si sono sposati. Avendo poi deciso di tornare in patria, hanno chiesto la trascrizione dell'atto di matrimonio redatto in Germania nel registro dello stato civile, affinché la loro relazione fosse ufficializzata.
La domanda è stata respinta perché «il diritto polacco non autorizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso». Ora, però, le toghe di Lussemburgo sentenziano che Varsavia ha violato il diritto europeo e chiede di ammettere la legalità del patto d’amore, stabilendo un precedente che dovrà applicarsi in tutta Ue a tutti i casi analoghi.
È un passaggio su cui sarebbe bene ragionare senza pregiudizi e manette dogmatiche. Il mercato unico comunitario è stato concepito dagli Stati europei per permettere ai cittadini di spostarsi al suo interno come nel proprio Paese. I Trattati stabiliscono che non ci debbano essere differenze per nazionalità come per orientamento, sia esso religioso o personale.
In questo, l’Europa ha fissato un principio importante e ora concede un altro esempio, chiedendo agli Stati di aderire ai canoni che si sono dati. Una coppia sposata secondo la legge è una coppia sposata, ribadisce la Corte Ue, convinta che ci sia poco da discutere. Tanto che potrebbe essere l’occasione per affrontare il tema con maggiore serenità anche per le norme, ancora restrittive, che limitano la libertà di chi, nel nostro Paese, sceglie di farsi una famiglia con un compagno di vita del suo stesso sesso.
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